Il decreto di sequestro preventivo c’è ma per il momento resta congelato. La procura di Roma ha ottenuto dal gip la firma per mettere i sigilli alla sede di Casapound, organizzazione di estrema destra che da sedici anni occupa uno stabile in via Napoleone III, a due passi dalla Stazione Termini, ma non ha ancora proceduto con la notifica. Eppure in mattinata la notizia si diffonde su tutte le pagine online dei quotidiani, dopo un lancio d’agenzia che annuncia l’avvio delle «procedure per la notifica del provvedimento», a conclusione di una indagine condotta dalla Digos della Questura di Roma per occupazione abusiva e associazione a delinquere finalizzata all’istigazione all’odio razziale. Davanti alla sede di Casapound arrivano giornalisti e agenti della Digos. Gli agenti stanno verificando le modalità di consegna del decreto insieme ai responsabili dell’organizzazione, ci viene riferito dalla Procura. In ballo non c’è solo lo sgombero delle famiglie che occupano lo stabile in piena emergenza Covid, ma anche una questione di ordine pubblico. Si temono probabilmente possibili disordini nella Capitale a pochi giorni dalla manifestazione del 6 giugno, quando al Circo Massimo arriveranno ultras e gruppi di estrema destra a manifestare contro il governo. «Se qualcuno ha intenzione di fare questo sgombero vedremo cosa succede quel giorno», dice il vice presidente di Casapound, Simone Di Stefano, durante conferenza stampa improvvisata sotto alla sede del movimento. Per i fascisti del terzo millennio si tratta solo di un attacco a un simbolo d’aggregazione, organizzato da magistratura politicizzata e dall’amministrazione capitolina. Virginia Raggi, infatti, esulta insieme a tutto il M5S per la notizia del sequestro, attirandosi alcune pesanti minacce via social da cui Casapound si dissocia, non essendosi «mai associata». Resta da capire perché, viste le contingenze, il sequestro sia stato annunciato.