Una visita «legittima ma non entusiasmante». Così una fonte grillina di governo liquida l’incursione di Davide Casaleggio a Roma, alla corte di Giuseppe Conte primia e di Luigi Di Maio dopo. Quasi tutto il Movimento 5 Stelle, ormai, considera il figlio del fondatore - e la sua creatura Rousseau - come un corpo estraneo al partito, una costosa ingerenza esterna da arginare il più possibile. Soprattutto in una fase così delicata dell’evoluzione pentastellata, con un congresso complicato alle porte e le eventuali alleanze regionali da costruire. Temi su cui Casaleggio, proprietario della macchina organizzativa del Movimento, pretende di dire la sua, di imporre tempi e modi ( il voto online sulla sua piattaforma) per cetificare ogni mutamento dello status quo. Ma i grillini del 2020 sono cresciuti e non accettano più di delegare alla logica ormai trita dell’uno vale uno la linea politica di un partito che governa il Paese da due anni. «Certo che Casaleggio ha un peso, ma non è più determinante», spiega ancora l’esponente M5S dell’esecutivo, «ormai i nostri processi politici sono molto più complessi di un tempo». Come dire, è finita l’epoca delle scomuniche via Blog, l’indirizzo si decide a Roma non su una piattaforma gestita da un’associazione esterna al Movimento alla quale possono accedere attivisti ormai troppo lontani dalla base parlamentare. Per questo deputati e senatori storcono il naso a sentire il solo nome di Casaleggio. Che non a caso ha evitato accuratamente di incontrare i gruppi parlamentari nel suo tour capitolino. «Consapevole delle polemiche che avrebbe prodotto la sua visita, Davide avrebbe potuto quantomeno fare lo sforzo di incontrare gli eletti, che da tempo si lamentano per la scarsa considerazione», prosegue la nostra fonte.

Il figlio del fondatore, rimasto col solo Alessandro Di Battista a fare da scudiero, preferisce invece sedersi al tavolo solo con coloro che ritiene essere i suoi parigrado: Conte e Di Maio, un modo per ribadire simbolicamente la consistenza della sua influenza politica. Obiettivo: tornare al centro del dibattito nonostante il gelo con i vertici e con Beppe Grillo in persona, fautore della coalizione giallo- rossa in tutto il Paese e ostile alla fretta casaleggiana di individuare subito un nuovo capo politico.

Ma a che titolo Casaleggio chiede udienza a Palazzo Chigi per presentare il piano per la ripartenza elaborato dall’associazione intitolata al padre? In qualità di cosa ragiona col premier e col ministro degli Esteri delle alleanze regionali che vorrebbe scongiurare? Sono queste le domande che si riconrrono di bocca in bocca tra i parlamentari, mettendo in discussione una volta per tutte il ruolo poco chiaro dell’inventore di Rousseau.

Conte, dal canto suo, sa che Casaleggio ( e Di Battista) rappresentano una mina piazzata sotto banchi della sua maggioranza, ma riceve il figlio del fondatore anche per rimediare alla scortesia di averlo estromesso dalle consultazioni degli Stati generali. E l’uomo ombra del M5S ne approfitta per consegnare a Palazzo Chigi un report di 81 pagine intitolato Niente sarà come prima, una sorna di risposta al Pnr governativo, una sorta di piano multimiliardario per il rilancio del Paese ma senza alcuna pianificazione finanziaria sui costi. Un dossier costruito ascoltando il parere di 36 “esperti” provenienti dal mondo dell’economia, della cultura, dell’università: dal teologo francescano sepcializzato in bioetica Paolo Benanti all’ex ad di Eni e Telecom Franco Bernabè, dal sociologo Domenico De Masi a Carlo Petrini di Slowfood, passando per i giornalisti Massimo Fini, Daniele Manca e Luca De Biase.

Il presidente del Consiglio mette tutto in un cassetto e rigrazia. Ma liquida così l’incontro: «Abbiamo fatto una chiacchierata su un progetto in onore del padre. Sulle regionali il tema è stato sfiorato ma non ci siamo confrontati su nessuna strategia regionale». Poco più di un gesto di cortesia, dunque. Ma per quanto ridimensionato, Casaleggio continua a detenere le chiavi di Rousseau che per statuto rimane l’unico organo decisionale del Movimento. Di Maio ne è consapevole e sa che per evitare una scissione serve un compromesso. Perché l’opa di Di Battista sul Movimento prosegue e prima o poi la decisione dovrà passare per gli iscritti.