«Faremo Appello. Ci aspettavamo un’assoluzione, siamo convinti dell'innocenza del nostro assistito», hanno dichiarato i difensori di Gianfranco Fini, gli avvocati Michele Sarno e Francesco Caroleo, al termine della lettura del dispositivo della sentenza con cui il tribunale di Roma ha condannato a due anni e otto mesi per riciclaggio il loro assistito.

Dopo sette anni di dibattimento, si chiude quindi in primo grado, con la condanna di tutti gli imputati, il processo sulla compravendita della casa di Montecarlo. L’appartamento, lasciato in eredità al partito di Alleanza Nazionale dalla contessa Annamaria Colleoni, secondo l'accusa, sarebbe stato acquistato per 300 mila euro da Giancarlo Tulliani, fratello dell’ex compagna di Fini, Elisabetta Tulliani, tramite la società off-shore “Printemps Ltd” di Francesco Corallo, imprenditore nel settore delle slot machine e debitore allo Stato di circa 85 mln di euro. L’immobile era stato poi rivenduto per 1 mln e 300mila euro nel 2015. Sergio Tulliani, i figli Giancarlo ed Elisabetta e Fini erano accusati di giudizio per riciclaggio di somme illecite: per loro i pm avevano chiesto, rispettivamente, 5, 10, 9 e 8 anni, mentre per Corallo è scattata lo scorso primo marzo la prescrizione.
«Non ho autorizzato la vendita dell'immobile di Montecarlo a una società riconducibile a Giancarlo Tulliani. Quando ho dato l'ok non sapevo chi fosse l'acquirente», ha commentato invece Fini, lasciando piazzale Clodio.
La vicenda balzò agli onori delle cronache grazie ad un reportage di Gian Marco Chiocci, all'epoca cronista de Il Giornale e oggi direttore del TG1. Fu lui, il 27 luglio del 2010, a raggiungere Montecarlo e ad appostarsi davanti al civico 14 di Boulevard Princesse Charlotte.
Chiocci suonò il campanello e Giancarlo Tulliani, dopo aver capito il motivo della visita, chiamò subito la gendarmeria monegasca per far arrestare il giornalista.
L’episodio segnò la fine politica di Fini, in quel periodo in contrasto con l’allora premier Silvio Berlusconi. Fini reagì declassando tutto a «macchina del fango», sostenendo che il cognato aveva affittato quella casa a sua insaputa. Ma non solo. In più occasioni promise le dimissioni da presidente della Camera se si fosse provato che Tulliani era invece il vero proprietario dell’appartamento.
Nelle prime fasi delle indagini erano coinvolti anche il parlamentare di Alleanza Nazionale Amedeo Laboccetta e, per l’appunto, Francesco Corallo, imprenditore del gioco d'azzardo. Per i due le accuse di associazione per delinquere erano già state dichiarate prescritte.
In una delle ultime udienze, il 18 marzo scorso, con un colpo di scena in aula. Elisabetta Tulliani aveva difeso in lacrime il compagno 72enne: «Ho nascosto a Gianfranco Fini la volontà di mio fratello di comprare la casa di Montecarlo. Non ho mai detto a Fini la provenienza di quel denaro, che ero convinta fosse di mio fratello. Il comportamento spregiudicato di mio fratello rappresenta una delle più grandi delusioni della mia vita. Spero di avere dato con questa dichiarazione un elemento per arrivare alla verità».
Per il difensore di Giancarlo Tulliani, l’avvocato Manlio Morcella, i 300 mila euro utilizzati per l’acquisto sarebbero stati invece una ricompensa per la attività lobbistica che il suo assistito, poi rifugiatosi a Dubai, aveva svolto per favorire il gruppo Corallo in ambito parlamentare. «Ricostruzione oggettivamente ancorata al vero. O comunque alla verosimiglianza», ha affermato Morcella.
«La condanna, evaporata tale aggravante, risulta così virtuale, poiché se non avranno successo le tesi principali della difesa (nullità delle udienze della fase preliminare e ricostruzione del fatto nello schema della eseguita attività lobbistica), i reati, ritenuti dal Tribunale sussistenti, saranno in ogni caso dichiarati estinti per intervenuta prescrizione della Corte di Appello», ha quindi aggiunto Morcella. Per le motivazioni bisognerà attendere prima dell’estate.