«Mio caro amico ti scrivo...». E quanto scrivono i vertici europei, quante missive partono da Bruxelles o, nei casi estremi, da Francoforte, sede della Banca centrale europea. Quante risposte arrivano, attese spesso con burocratica pigrizia ma qualche volta con trepidante ansia, ciascuna decorata dal francobollo di uno dei 28 Paesi che compongono un’Unione che è tale più di nome che di fatto.

La corrispondenza è fitta, un osservatore disattento potrebbe immaginare che da quelle parti, per un torvo sortilegio, e- mail e messaggi telefonici ancora attendano di essere inventati. Invece è tutta questione di forma, e si sa che le forme sono importanti. La lettera ha il crisma dell’ufficialità. Nobilita anche gli ultimatum, come quello che fu rivolto all’Italia nell’estate del 2011, spogliandoli in apparenza della loro ruvida brutalità. Regala una patina di cordialità dialogante alla resa senza condizioni attesa in busta chiusa dalla Grecia nel 2015. Derubrica scontri, resistenze e imposizioni, come quelli veicolati ogni anno dalle richieste di modifica alle leggi di bilancio, trasformandoli in amichevoli scambi epistolari. Un po’ come quellli con cui le amiche lontane si tenevano in contatto un secolo e passa fa. Lettere rese pubbliche, nelle quali il testo conta meno del solo averle spedite. Lettere segrete, nelle quali il pugno di ferro non riuscirebbe a camuffarlo neppure la maestria di uno Choderlos de Laclos. Fu il caso della letterina a doppia firma, quella del presidente uscente della Bce Trichet e quella del successore Draghi, fatta pervenire al governo italiano guidato da Silvio Berlusconi il 5 agosto 2011. La crisi dei debiti sovrani flagellava l’Unione. L’Italia era sotto botta più di chiunque altro. L’aiuto della Bce sotto forma di acquisto massiccio dei titoli italiani, questione di vita o di morte, era subordinato al varo di misure draconiane. Non era mai successo e fu un colpo duretto, perché una cosa è chiacchierare di cessione di sovranità a tavolino o in un talk show, tutt’altra scoprire cosa significhi nei fatti, grazie all’imperiosità di un diktat.

A volte non c’è cosmesi diplomatica che tenga. Quando, nel febbraio 2015, il ferrigno ministro delle Finanze tedesco Schaeuble annunciava al mondo che «la lettera del governo greco non è ancora arrivata e il tempo scade a mezzanotte» la drammaticità della situazione trapelava, infrangeva la liturgia epistolare, metteva a nudo la tragedia di un intero Paese e la gelida insensibilità di un’Unione la cui immagine, dopo quei giorni, non è più tornata la stessa, nonostante le ammissioni d’errore e persino le scuse. La lettera che tardava ad arrivare doveva contenere la resa del nuovo governo greco guidato da Alexis Tsipras, l’accettazione delle condizioni draconiane per un nuovo prestito, chieste a un paese che era già sttao messo in ginocchio dai memorandum precedenti.

Quella volta non bastarono le lettere. Ci vollero mesi, ci fu un referendum in cui la maggioranza dei greci chiese di non accettare il nuovo cappio. La parola scritta non bastava più. L’ultimo atto si consumò a notte fonda, tra il 12 e il 13 luglio, e prima di piegarsi di fronte ad Angela Merkel e all’allo- ra presidente francese Hollande in carne e ossa, il greco si sfilò la giacca: «Pigliatevi pure questa». I due leader europei non fecero una piega. Rifiutarono l’indumento. Presero tutto il resto.

Spesso le lettere sono davvero una formalità, come nel caso di quella recapitata ieri di persona dal commissario all’Economia Moscovici al ministro italiano Tria. E’ una richiesta di chiarimenti sulla legge di bilancio, inviata anche ad altri quattro Paesi. I chiarimenti degli altri paesi basteranno o tutt’la più provocheranno qualche richiesta di lieve correzione. Quello italiano chiarirà solo che i conti della manovra per Bruxelles e per le cancellerie europee non sono accettabili.

L’Italia avrà una settimana di tempo per replicare e nessuno si aspetta che serva a qualcosa. Quindi da palazzo Berlaymont, sede della commissione a Bruxelles partirà, la settimana prossima, un’altra missiva, meno formale. Sarà al contrario una novità assoluto: il respingimento secco della manovra. Non è mai accaduto. Di solito si procede sempre con una bella letterina, ma con precise richieste di modifica. Stavolta no. Bocciatura senza esami di riparazione. Tre settimane per riscrivere la manovra. E’ presumibile che il governo italiano risponderà come cortesia impone con una lettera che cortesemente rifiuterà di ottemperare alla richiesta. Sarà l’avvio di uno sconto pesante, probabilmente destinato a prolungarsi per mesi. Di lettere se ne potrebbero incrociare a mazzi.