Il Generale Roberto Vannacci, qualche giorno fa, lo aveva fatto intendere in maniera abbastanza chiara sui social, scrivendo «Make League Great Again»: Pontida non sarebbe più stata il raduno delle ampolle del Po, ma la prima “convention MAGA” d’Italia.

Sul prato sacro ai leghisti questo weekend non hanno sventolato solo le bandiere con Alberto da Giussano, ma soprattutto le magliette con il volto di Charlie Kirk, l’influencer conservatore americano assassinato in Utah che Matteo Salvini ha deciso di trasformare in un’icona politica buona anche per l'Italia. E quando il Capitano ha chiesto alla folla un minuto di applausi «che arrivi fino all’Arizona», il pratone è sembrato più vicino a Phoenix che a Bergamo.

Si può osare e dire che è il passaggio definitivo della Lega alla fase MAGA: finita l’epoca nordista, archiviata quella del sovranismo “italico”, Salvini e il generale Roberto Vannacci puntano a fare del Carroccio il riferimento italiano del trumpismo internazionale. Vannacci ha toccato con mano il risultato della sua operazione culturale: applausi da stadio, selfie, cori, il tutto condito dal nuovo lessico leghista in cui la parola d’ordine è “remigrazione”.

Il rito identitario è stato riscritto: non più il federalismo, non più il Nord che si ribella a “Roma ladrona”, ma la guerra culturale all’americana. Salvini ha anche lanciato una “manifestazione di San Valentino” per i valori della civiltà occidentale: «Un appuntamento per dire no all’islamizzazione, sì alla libertà e ai confini», ha spiegato dal palco. Un San Valentino MAGA, insomma, che consacra l’asse tra il segretario e il generale come il cuore pulsante della nuova destra leghista. Non tutti però brindano.

L’ala nordista mastica amaro: Fontana, Romeo, Zaia e i vecchi colonnelli hanno seguito lo show con la faccia scura. «In Italia è innegabile ci sia una questione settentrionale», ha ricordato Zaia, ammonendo che sul Veneto «se il candidato non sarà leghista sarà un problema». Salvini, da par suo, ha liquidato le polemiche con un sorriso: «La discussione sulla ‘vannaccizzazione’ della Lega è una simpatica discussione giornalistica. Vannacci è un valore aggiunto, come Zaia, Giorgetti e Calderoli». Ma i fatti parlano da soli: l’ex generale è ormai il numero due di diritto e di fatto, l’uomo che dice a voce alta ciò che il Capitano pensa, e comunque non smentisce, anche quando si tratta di elogi sfacciati per lo zar Putin. E soprattutto colui che ha traghettato la Lega nel campo di Trump e di Kirk, dove la lotta culturale viene prima delle infrastrutture.

Il successo del merchandising ne è la prova: secondo gli organizzatori, le t-shirt con l’effigie di Kirk hanno superato nelle vendite quelle con Alberto da Giussano. È il segno che la base leghista è pronta a indossare il nuovo simbolo di appartenenza: non più il guerriero medievale, ma il volto sorridente del guru conservatore made in USA. Con buona pace di chi, come Zaia e Fontana vorrebbe ancora sentir parlare di Pedemontana e autonomie.

L'operazione, accanto a motivazioni sincere di costernazione per la fine tragica di Kirk e di ammirazione per le sue idee, ha anche un obiettivo più prosaico: quello di rubare terreno a destra alla premier Giorgia Meloni. Quest'ultima non ha certo lesinato attestati di stima e partecipazione per la figura di Kirk, facendo anch'essa leva sulla tragedia di Salt Lake City per attaccare la sinistra radicale additandola come responsabile del clima d'odio che porta ad episodi come questo. Ma Meloni per prima sa bene che l'inquilina di Palazzo Chigi può certamente andare sopra le righe e usare toni incandescenti per condurre a proprio favore la polemica domestica a trarne vantaggio elettorale in vista delle Regionali, ma quando si trova nei consessi internazionali (in primis quelli europei) non può certo godere della stessa agibilità politica con cui il “Capitano Kirk” Salvini può manovrare l'Enterprise leghista tra Mosca e Washington.