Nel cuore dell'estate, la maggioranza, su iniziativa della Lega, ha sferrato un doppio attacco al settore della cannabis light, mettendo a rischio circa quindicimila posti di lavoro e un'intera filiera industriale. Due provvedimenti, un decreto e un emendamento, rischiano di cambiare radicalmente il volto del settore della cannabis in Italia, sollevando interrogativi sulla motivazione ideologica dietro queste mosse politiche.

Il primo colpo è arrivato il 5 agosto, con l'entrata in vigore di un decreto che inserisce le preparazioni orali di CBD tra i farmaci stupefacenti. Questa mossa ha immediatamente scatenato la reazione delle associazioni di categoria. Canapa Sativa Italia (Csi) e Imprenditori Canapa Italia ( Ici) hanno prontamente presentato ricorso al Tar, portando in tribunale non solo le loro ragioni, ma anche solide evidenze scientifiche. Mattia Cusani di Csi ha dichiarato a Dolce Vita: «Il CBD è sicuro, e solo negli ultimi anni sono almeno una ventina gli studi che ribadiscono che questo cannabinoide non è stupefacente e non ha rischio d'abuso».

A supporto di questa tesi, Csi ha presentato una perizia redatta da Marco Falasca, farmacologo con oltre 20 anni di esperienza nello studio dei cannabinoidi. Falasca, dopo aver analizzato i pareri allegati al decreto governativo, «non ha riscontrato alcuna evidenza scientifica che dimostri che il CBD sia stupefacente o che porti rischio di abuso». Anche Ici si è mosso su un fronte simile, commissionando una perizia al professor Costantino Ciallella dell'Università La Sapienza, che «smonta punto per punto i pareri dell'Istituto Superiore di Sanità e del Consiglio Superiore di Sanità», come affermato da Raffaele Desiante di Ici.

Ma il decreto non è l'unico fronte di battaglia. Un emendamento inserito nel disegno di legge sulla sicurezza, nato con l'intento di bloccare la produzione di cannabis light, rischia di affossare completamente il settore della canapa industriale. Questo provvedimento, approvato di notte in agosto, vorrebbe inserire il fiore della pianta di canapa tra gli stupefacenti, con conseguenze potenzialmente devastanti per l'intera filiera. Le associazioni di settore non sono rimaste a guardare. Csi ha presentato una denuncia alla Commissione Europea, sostenendo che il provvedimento violerebbe le norme comunitarie relative alla circolazione delle merci e alla libera concorrenza. La Commissione ha confermato di aver preso in carico la richiesta e di star svolgendo gli accertamenti necessari.

Ma perché questa crociata contro la cannabis light? Le associazioni di settore sostengono che questi provvedimenti non solo mettono a rischio migliaia di posti di lavoro, ma anche un settore che ha dimostrato di essere sostenibile e capace di generare sviluppo economico in molte aree del paese. La canapa, infatti, è una coltura sostenibile che contribuisce alla bonifica dei terreni, riduce l'uso di pesticidi e può sostituire materiali inquinanti in numerose applicazioni industriali. È un elemento chiave per l'economia circolare, poiché ogni parte della pianta può essere utilizzata, riducendo al minimo gli sprechi e valorizzando le risorse naturali. Inoltre, il settore offre opportunità di lavoro e crescita economica in numerose regioni italiane, specialmente in aree rurali che soffrono di spopolamento e disoccupazione. Senza contare che le infiorescenze di canapa industriale sono utilizzate per la produzione di prodotti che aiutano migliaia di persone a migliorare la propria qualità della vita.

Le associazioni di settore, tra cui Imprenditori Canapa Italia, Sardinia Cannabis, Resilienza Italia Onlus, Canapa Sativa Italia, Federcanapa e Canapa delle Marche, hanno lanciato una petizione chiedendo al governo di ritirare immediatamente l'emendamento che vieta le lavorazioni sulle infiorescenze di canapa industriale e di avviare un dialogo costruttivo per sviluppare una regolamentazione equilibrata e sostenibile per la filiera. La battaglia legale e politica è appena iniziata, e il 10 settembre si discuterà in camera di consiglio al Tar per l'eventuale sospensiva del decreto CBD.

Nel frattempo, migliaia di lavoratori e imprenditori del settore rimangono in un limbo, in attesa di capire quale sarà il futuro di un'industria che, fino a ieri, sembrava promettente e in crescita. Questa crociata contro la cannabis light solleva interrogativi importanti: si tratta davvero di una questione di sicurezza pubblica? E soprattutto, vale la pena mettere a rischio un intero settore economico, con tutte le sue implicazioni ambientali e sociali, per una battaglia ideologica? Mentre il dibattito infuria, una cosa è certa: il futuro della cannabis light in Italia è più incerto che mai, e con esso, il destino di migliaia di lavoratori e di un'intera filiera industriale.