Quando Matteo Messina Denaro, nel 1993, iniziava la sua latitanza, Silvio Berlusconi non era ancora sceso in campo. Trent’anni dopo il primo è nelle mani dello Stato, e il governo di cui il secondo è il «regista» se ne può rallegrare.

Ma passato il momento di comprensibile soddisfazione, concretizzatosi ieri con la visita della presidente del Consiglio a Palermo, Giorgia Meloni deve rimettersi al lavoro per rattoppare il tessuto di un maggioranza che si è sfilacciata dopo il pasticcio sul decreto carburanti.

E deve farlo tenendo a bada proprio il regista dell’esecutivo, che ha il suo braccio operativo in Antonio Tajani, uno dei due vicepremier, e l’altro vicepremier, il leader della Lega Matteo Salvini. Forza Italia e Carroccio hanno approfittato del momento di spaesamento del maggiore partito di governo, Fratelli d’Italia, per tirare la corsa sui temi a loro più cari: presidenzialismo, da un lato, e Autonomia, dall’altro.

«In questa legislatura vi sono davvero le condizioni per realizzare finalmente una riforma che tornerà ad avvicinare i cittadini alle istituzioni - ha detto Berlusconi durante la presentazione dei candidati azzurri alle Regionali in Lombardia, a villa Gernetto, parlando del presidenzialismo Quello che noi vogliamo non è altro che la possibilità per gli elettori di scegliere direttamente, saltando la mediazione dei partiti, da chi vogliamo essere governati, di scegliere il massimo vertice delle istituzioni». E poi ha rincarato la dose.

«È una riforma nella quale crediamo profondamente, in Italia come in Europa, secondo il modello degli Stati Uniti, che unisce il massimo della forza e dell’autorevolezza al governo federale, nella materie di sua competenza, come la politica estera e la politica militare e il massimo dell’autonomia su tutto il resto riconosciuta ai singoli Stati e alle altre realtà locali».

Strizzando così l’occhio a Salvini, secondo il copione ormai assodato secondo il quale il Cavaliere ha molti più rapporti con il Capitano piuttosto che con la leader di Fratelli d’Italia. Ecco perché entrambi tengono alla propria indipendenza al governo, con un obiettivo comune: fermare l’emorragia di voti che da Lega e Forza Italia ha rimpinguato il bacino elettorale di Fdi.

«Con gli alleati abbiamo un rapporto leale, ma abbiamo le nostre idee», ha aggiunto Berlusconi, spiegando poi che gli azzurri sosterranno «lealmente» il governo ma «senza rinunciare» alla propria identità. E rilanciando infine l’idea del partito unico, auspicando che «le forze politiche diverse potranno un giorno realizzare una casa comune, ancora una volta guardando al modello della democrazia americana, dove il partito Repubblicano ha fatto sintesi di diverse anime e culture che si sono unite su un programma comune, sollecitate da un comune sentire dei cittadini». Tema del quale, come è noto, Fratelli d’Italia non vuol sentire parlare, visto l’onda che sta cavalcando tanto dall’aver sfondato ormai quota trenta per cento nei sondaggi.

E dunque, come se ne esce? Con un faccia a faccia tra lo stesso Berlusconi e Giorgia Meloni, secondo il primo ad Arcore, ma difficilmente la seconda accetterà di tornare nella “tana del lupo”, per dare una nuova accelerata alla corsa del governo che dopo la luna di miele iniziale ha subito una brusca frenata. E proprio di frenata è il caso di parlare, visto che proprio ieri i benzinai hanno confermato lo sciopero previsto per il 25 e 26 gennaio e poi congelato dopo le modifiche del governo al decreto carburanti. Modifiche che un fedelissimo di Berlusconi come Giorgio Mulè aveva auspicato potessero portare alla «cancellazione» dello sciopero, ma così non è stato.

E i terreni di scontro non sono finiti, perché se la posizione internazionale di Giorgia Meloni è risaputa, con tanto di visita a Kiev nei prossimi mesi, lo è altrettanto quella di Berlusconi sulla guerra della Russia all’Ucraina. «Dobbiamo lavorare ancora in futuro all’entrata della Russia in Europa, perché non possiamo pensare che la situazione di oggi sia addirittura peggiore di quando c’era la guerra fredda ha detto il leader azzurro - La Russia, che è uno stato europeo in tutto e per tutto, entrando in Europa e Nato avrebbe costituito una difesa assoluta nei confronti dei propositi di espansione della Cina: mi dispiace non essere riuscito in questo intento». Parole delle quali la premier potrebbe chiedere conto nel colloquio con Berlusconi.