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Antonio Decaro, già sindaco di Bari ed europarlamentare del Pd
Torre Quetta, “la spiaggia dei baresi», esterno sera. C’è un tramonto mozzafiato, i tavolini dei locali sono pieni, il lungomare ha l’odore di una giornata tardo primaverile che sa d’estate. La serata è tranquilla, ma l’atmosfera si trasforma quando si sparge la voce che sta per arrivare il sindaco Antonio Decaro assieme al suo fedelissimo Vito Leccese, in corsa per la sua successione al ballottaggio di domenica e lunedì. Sono qui per quello che in gergo si chiama “bagno di folla”, e che poco dopo si dimostrerà tale. Ma facciamo un passo indietro.
È il 26 febbraio quando il secondo mandato di Decaro, che sta vivendo gli ultimi mesi da primo cittadino del capoluogo pugliese, subisce uno scossone. L’inchiesta “Codice interno” della procura di Bari porta all’arresto di 130 persone, tra le quali l’ex consigliere regionale Giacomo Olivieri e la moglie Maria Carmen Lorusso, ormai ex consigliera comunale eletta nelle fila del centrodestra e poi passata in maggioranza. L’accusa? Scambio elettorale politico-mafioso in relazione alle elezioni comunali di Bari del 2019, cioè quelle in cui Decaro è stato rieletto con un plebiscito. L’inchiesta della Dda porta anche al commissariamento dell’Amtab, la società del comune concessionaria del servizio di trasporto pubblico locale che, secondo gli inquirenti, sarebbe stata infiltrata dai clan criminali baresi che ne decidevano anche le assunzioni. Un terremoto, che scuote dalle fondamenta l’amministrazione comunale barese.
Ma non il sindaco, che opta per il basso profilo e si smarca dalle persone coinvolte. Ma è poco meno di un mese dopo che le cose cambiano all’improvviso, quando il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, nomina una commissione di accesso per verificare l'ipotesi di scioglimento del comune di Bari. E questa volta Decaro non ci sta. Buona parte della città, schierata dalla sua parte, insorge, lui convoca una conferenza stampa che si trasforma in una strenua difesa personale dell’operato suo e della sua amministrazione, parla di «atto di guerra» e mette sul tavolo (letteralmente) la fascia da sindaco. «L’atto, come un meccanismo a orologeria segue la richiesta di un gruppo di parlamentari di centrodestra pugliese - dice Decaro in lacrime - Incuranti delle parole del procuratore distrettuale antimafia che in conferenza stampa ha detto testualmente che “l'amministrazione comunale di Bari in questi anni ha saputo rispondere alla criminalità organizzata”».
La città è in fermento, il centrosinistra nazionale si compatta a sostegno del primo cittadino e convoca una manifestazione in piazza a Bari, in difesa del suo sindaco e della legalità. E qui succede quello che in quei giorni sembra un patatrac, ma che poi per Decaro si trasformerà in una piattaforma di lancio e per il presidente della Puglia Michele Emiliano costituirà l’inizio della fine ( quantomeno del suo rapporto con la città). Emiliano dice di aver affidato, in passato, il sindaco ( allora suo assessore) a membri della famiglia Capriati, un nome che solo a sentirlo, nei vicoli di Bari, fa accapponare la pelle. E il centrodestra non può far altro che cogliere la palla al balzo. Organizza una contro- conferenza stampa in Comune, urla alle dimissioni di sindaco e presidente di Regione, assapora dopo decenni la possibilità di tornare a governare Bari.
Il M5S gli va dietro, si dice pronto a mettere in campo un proprio candidato (Michele Laforgia) alla guida della città e chiede le primarie. Decaro non ci sta, si difende in ogni sede e si oppone alle primarie, tenendo fermo un punto: il suo successore sarà il suo braccio destro e capo di gabinetto, Vito Leccese. Seguono riunioni di partito a porte chiuse che tanto chiuse non sono, si scoprono altri possibili candidati ( in primis l’assessore all’Ambiente Pietro Petruzzelli), ma alla fine i dem convergono su Leccese. Ed è proprio in questo momento che il fronte si rovescia. Il “caso Bari” si dimostra per quel che è, cioè un presunto caso di malaffare che tuttavia non coinvolge il primo cittadino, che continua a essere osannato in città.
Le settimane di campagna elettorale per le Europee si susseguono a suon di comizi, bagni di folla, manifestazioni di piazza. La sfida a tre per le Comunali tra Leccese, Laforgia e il candidato del centrodestra Fabio Romito si trasformano presto in una sfida a due tra Leccese e Romito. Il M5S non ha la forza di un tempo, anche perché è Decaro a trainare il partito e il suo capo di gabinetto.
Alle Europee il sindaco prende mezzo milione di preferenze in tutto il Sud, 350mila solo in Puglia, 60mila a Bari. Cifre enormi. Leccese si ferma al 48 per cento, per poche migliaia di voti non viene eletto al primo turno. E parte un’altra campagna elettorale, brevissima, con Decaro in prima linea e Leccese subito dietro.
E dunque torniamo a Torre Quetta, in un weekend di metà giugno con la città paralizzata dal G7 che si svolge a poche decine di chilometri da qui, con decine e decine di motociclette delle forze dell’ordine a controllare che tutto fili liscio. Non ci sono forze dell’ordine, invece a Torre Quetta. Perché la scorta di Decaro è la sua gente. Arriva in felpa e maglietta, ed è un tripudio: Tutti vogliono toccarlo, fare un selfie, scambiare qualche parola. In sottofondo, Viva la Vida dei Coldplay. «Sembra essere tornati indietro di un secolo, quando per le strade della Puglia camminava Padre Pio», azzarda un sostenitore.
Leccese è poco dietro, le richieste di selfie sono minori, ma lui non se ne cura, sorride e stringe mani. È perfettamente consapevole che la star è colui che lo precede di qualche passo, e che non sarà facile prenderne il posto. «Vincerà facile», profetizzano esponenti dem locali. «Non ci credono nemmeno a destra, altrimenti avrebbero candidato Sisto», ragiona un elettore. «Leccese? Lo voto, ce l’ha chiesto Decaro», commenta una signora. «E il “caso Bari”? E Michele Emiliano?» Chiediamo. «La risposta è arrivata dalla città, noi stiamo con Decaro» risponde la signora che su Emiliano è tranchant. «Ha fatto tanto per questa città», dice, «ma forse dovrebbe andare in pensione», con la o rigorosamente chiusa.
Di certo non andrà in pensione Decaro, pronto a sedere sul suo scranno a Strasburgo forte di 500mila preferenze e di una città che non gli ha voltato le spalle nemmeno nel momento peggiore.