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LA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIORGIA MELONI
L’accordo sul target 2040 per la lotta contro i cambiamenti climatici raggiunto tre giorni fa a Bruxelles è una vittoria per Giorgia Meloni e per tutto il fronte Ppe-destra europea che ha fatto dell'attacco al Green Deal il proprio principale cavallo di battaglia a pari merito con quel sempreverde che è la crociata contro l’immigrazione clandestina.
La premier italiana è stata in prima fila è l'intesa la soddisfa: l’obiettivo resta l'azzeramento del 90% delle emissioni nocive entro il 2040 ma con ampia flessibilità, verifica ogni due anni con facoltà di abbassare l’asticella e soprattutto apertura all'uso dei biocarburanti anche dopo il 2030, il capitolo per l’Italia forse principale. Eppure a palazzo Chigi il clima è tutt'altro che festoso. All'orizzonte, nonostante i risultati sul fronte della macreconomia, del clima e anche dell’immigrazione, si stanno addensando per la prima volta nuvole minacciose e non vengono dalla politica europea, che continua a rivelarsi il tavolo dove la destra italiana si muove meglio, ma da quella interna, sin qui considerata sicura.
Questione di soldi. Erano pochi, si sa. La scelta di privilegiare la difesa del bilancio con politiche quasi di austerità piace all'Europa e alle agenzie di rating, molto meno a cittadini lasciati a becco asciutto. Il peggio è che quel poco che c’era la legge di bilancio lo ha ripartito a tutto vantaggio delle fasce già avvantaggiate in partenza: il taglio dell’Irpef riguarda solo il 30% dei contribuenti, taglia fuori il 40% dei dipendenti privati e comunque va per l'85% a vantaggio dei due quinti più ricchi della popolazione. In concreto, i dirigenti aziendali risparmiano 408 euro, gli operai 23 e all'esercito dei pensionati, con 55 euro in più all'anno, non va molto meglio.
Nella raffica di critiche che Bankitalia, l’Istat, la Corte dei conti e in generale tutte le istituzioni audite in Parlamento hanno fatto diluviare sulla manovra la voce forse più insidiosa per il governo è quella che riguarda la sanità: che 5,8 milioni di italiani debbano rinunciare a curarsi è già un dato raggelante ma l'impennata rispetto all'anno precedente, quando a sacrificare la salute cercando di far quadrare il bilancio, erano 4,5 milioni di persone, rende le sirene d'allarme ancora più fragorose.
Dopo la vittoria di Zohran Mamdani a New York si sono sprecate le analisi politologiche sulle ragioni di quel trionfo, le chances di successo del programma del nuovo sindaco e i possibili riflessi sul quadro italiano. Ma il vero elemento che allarma il governo è meno sofisticato e più terragno: Mamdani ha vinto e soprattutto Donald Trump precipita nei sondaggi perché gli americani continuano a essere, o a sentirsi, squattrinati e alle prese con prezzi sempre molto alti. Un quadro che, con tutte le differenze del caso, si riproduce anche in Italia e che gli elettori avvertono come più urgente e immediato del plauso delle agenzie di rating o della flessibilità sul Green Deal.
Come se non bastasse ci si mette il torturatore Almasri. La versione italiana secondo cui il “generale” sarebbe stato riportato di corsa e con volo di Stato in Libia proprio in vista del suo arresto da parte delle autorità di Tripoli può essere vera o falsa ma non è credibile comunque e questo è quel che più conta per l'immagine del governo. I ministri competenti avevano in effetti alluso già in precedenza a una richiesta di estradizione libica, ma quasi en passant e mostrando di considerarla fattore di limitata importanza nella fulminea scarcerazione. È diventata elemento centrale anzi determinante solo dopo l’arresto, non nel lungo anno precedente. Nel corso di quell’anno il governo ha fornito una decina di versioni differenti del fattaccio ed è proprio questo a renderlo pochissimo credibile comunque. La via crucis non è arrivata ancora all'ultima fermata: il Copasir chiede al governo di chiarire una situazione che tra una versione e l’altra accavallatesi nel tempo più confusa di com’è non potrebbe essere. Chiedere di “chiarire” in questo caso è pretendere l’impossibile.
Forse il caso in sé è di limitata importanza per gli italiani. Non lo è però il danno d’immagine che arreca a un governo che, per come Giorgia Meloni lo presenta ogni volta che prende la parola, non può permettersi di apparire cialtronesco, pavido, menzognero e azzeccagarbugli. Le elezioni sono ancora relativamente distanti ma il referendum costituzionale è invece vicinissimo e molti elettori, inevitabilmente, orienteranno la propria scelta più sull'immagine del governo che sull’ostico quesito sottoposto al voto popolare. Il governo parte in vantaggio nei sondaggi ma era così anche per Matteo Renzi nel referendum del 2016 e si sa come andò a finire.


