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LA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIORGIA MELONI
È bastato un post, calibrato per incendiare il dibattito. «Nuovo sciopero generale della Cgil… in quale giorno della settimana cadrà il 12 dicembre?». Giorgia Meloni sceglie l’ironia per tornare sul terreno già battuto dei “weekend lunghi”, bersagliando la data fissata dalla Cgil per la mobilitazione contro la manovra. È venerdì: e tanto basta perché la premier riaccenda lo scontro con Maurizio Landini e, a catena, con l’opposizione.
A ruota arriva Matteo Salvini, che rincara: «Invitiamo Landini, per una volta, a rinunciare al weekend lungo e organizzare lo sciopero in un altro giorno». La replica del leader Cgil non tarda. Da Firenze, dove l’assemblea generale vota lo sciopero del 12 dicembre «per cambiare il ddl di bilancio 2026» e spingere rinnovi contrattuali fermi – dalle farmacie all’igiene ambientale, dai meccanici alla sanità privata, all’industria cartaria e alle telecomunicazioni – Landini rovescia l’accusa: «Chi sciopera paga le tasse e anche il loro stipendio… quando una persona sciopera rinuncia al proprio salario, non è gratis».
E rilancia il perimetro politico e costituzionale della contesa: «È bene ricordare a tutti che se in Italia lo sciopero è un diritto sancito dalla Costituzione, è perché prima della nostra democrazia i primi atti del fascismo furono cancellare il diritto di sciopero, bruciare e chiudere le sedi sindacali». Nelle stesse ore, la Cgil mette in chiaro l’obiettivo: «Ottenere risposte per le persone che rappresentiamo» e incidere, «nel corso della discussione in Parlamento», su una manovra considerata inadeguata rispetto alla «grave condizione economica e sociale del Paese». Tradotto: salari, sanità, scuola, investimenti e contrattazione.
«Se vogliono, hanno la possibilità anche che lo sciopero non ci sia. Cambino la manovra», avverte Landini. E chiama alla mobilitazione diffusa: «Faremo manifestazioni in tutti i territori d’Italia» per dimostrare che «la maggioranza del Paese chiede di essere ascoltata». Dalla maggioranza, invece, la linea è il fuoco di sbarramento. La presidente del Consiglio, che già un mese fa aveva liquidato la protesta con un memorabile «week end lungo e rivoluzione non stanno insieme», oggi trasforma il calendario in messaggio politico e cemento della coalizione.
Salvini si accoda senza esitazioni; Forza Italia alza il volume con Maurizio Gasparri, che accusa: «Landini lavora per fermare il Paese» e parla di «altro weekend lungo e città bloccate». Il capogruppo di FdI Galeazzo Bignami ammicca: «Molto strano che sia un venerdì, chissà perché…». I capigruppo leghisti Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo evocano i «diritti negati» dei cittadini a «mobilità, lavoro, studio e salute». Sul crinale tra piazza e Palazzo scorre l’altra corrente, quella del controcanto delle opposizioni.
Anche Carlo Calenda critica Landini, ma da un’altra prospettiva e con un registro sarcastico – «bravo Maurizio, è contro la deindustrializzazione dell’automotive, vero?» – mentre dal fronte delle regioni il toscano Eugenio Giani bolla l’uscita di Meloni come «populista e di basso livello: chi sciopera lascia il salario per testimoniare idee e valori». Tono ancora più ruvido dalla presidente M5S della Vigilanza Rai Barbara Floridia, che accusa la premier di «prendere in giro chi sciopera», ricordando che per milioni di lavoratori il weekend spesso non esiste e che la rinuncia al salario è l’unico modo «per farsi ascoltare da un governo come il suo».
Il merito resta la legge di bilancio. È lì che la premier, sotto pressione su coperture e correttivi, sceglie la prova muscolare. Il frame comunicativo è semplice e polarizzante: il venerdì come indizio di un privilegio; lo sciopero come strumento che “blocca l’Italia”; il governo come argine della normalità produttiva. La Cgil risponde ribaltando il nesso: non un “weekend lungo”, ma un sacrificio salariale per rivendicare aumenti, investimenti su sanità e scuola, e «andare a prendere i soldi dove sono».
Landini punta a «manifestazioni in tutti i territori d’Italia» e a dimostrare che «la maggioranza del Paese chiede di essere ascoltata». Palazzo Chigi confida invece nella stanchezza dell’opinione pubblica di fronte a scioperi «ogni due per tre», come li definisce Gasparri. È un braccio di ferro destinato a misurarsi anche nei numeri: adesioni, città bloccate o meno, consenso alla manovra in Parlamento.
Di sicuro, la polemica sul calendario è più di una battuta social: è la scelta di un ring. Il governo compatta i suoi e prova a spostare il baricentro dal contenuto della manovra all’immagine di una sinistra sindacale inefficace e “festaiola”. Venerdì o non venerdì, il confronto è aperto. Il resto lo diranno piazze e Parlamento: la manovra entra ora nel vivo delle modifiche.


