Giorgia Meloni potrebbe perdere a breve il sostegno dell’unica opposizione, cioè Italia viva, a quella che lei stessa ha definito «la madre di tutte le riforme», cioè l’elezione diretta del presidente del Consiglio. È quanto sta emergendo dal dibattito sulle riforme istituzionali dopo la presentazione degli emendamenti della maggioranza che hanno in parte modificato il testo iniziale e dopo che ieri dalle opposizioni sono arrivati oltre 700 sub- emendamenti, molti dei quali mirano a stravolgere completamente il testo.

E così come per altri argomenti negli ultimi mesi, dal salario minimo alla commissione Covid, anche il premierato sta spaccando quello che alle scorse Politiche si è presentato come terzo polo salvo poi mandarsi a vicenda a quel paese e continuare a viaggiare su strade separate: Matteo Renzi da una parte, Carlo Calenda dall’altra. Favorevole all’elezione diretta del presidente del Consiglio, il primo; contrario il secondo, pur consapevole della necessità di riformare la Costituzione su questi temi.

Ma la novità delle ultime ore è che anche il sostegno dell’ex presidente del Consiglio al ddl Meloni- Casellati potrebbe venire meno, ipotesi che l’inquilina di palazzo Chigi vorrebbe in ogni modo scongiurare. Non tanto per una questione di numeri (anche con il sostegno dei renziani non avrebbe comunque la maggioranza dei due terzi necessaria a evitare il referendum), quanto perché il sostegno di Iv le permetterebbe di giocarsi la carta della spaccatura delle opposizioni in sede di campagna referendaria.

Eppure, Renzi non sembra più così convinto. «Abbiamo presentato una proposta di legge, anche con Calenda, anche se lui non lo ricorda, che prevede l’elezione diretta del sindaco d’Italia: se Meloni e Casellati fanno questa proposta la votiamo, se è un Pasticcellum non ci stiamo - ha scandito Renzi presentando il suo libro a Napoli - Non si tratta di coordinare le opposizioni ma è da capire Meloni se approva la nostra proposta o no. Era partita bene, ora la vedo tentennante. Se fa la nostra proposta, la votiamo, ci mancherebbe che non votassimo la legge che abbiamo portato noi».

E così Iv ha presentato due sub-emendamenti che intervengono sulla norma antiribaltone e sul semestre bianco. In particolare, chiedono di sopprimere sia il «secondo round» con il premier di riserva, introducendo il meccanismo simul stabunt simul cadent, sia la disposizione volta a consentire lo scioglimento anticipato anche durante il semestre bianco quando «atto dovuto», posto che tale previsione - spiega Iv è collegata al cosiddetto secondo round.

A ribadire i dubbi dei renziani è stata anche Maria Elena Boschi, che al Foglio spiega come le modifiche del governo «mortificano la scelta degli elettori con il paradosso di sancire il “diritto di imboscata” in Parlamento, Espressione, quella dell’imboscata, utilizzata su queste colonne dal vicepresidente dem della commissione Affari costituzionali del Senato, Dario Parrini. Segno che anche nelle opposte vedute tra Pd e Iv sul tema ci sono potrebbero crearsi delle convergenze.

«Noi siamo favorevoli all’elezione diretta del primo ministro affidandogli la possibilità di svolgere funzioni di governo in maniera più moderna ed efficace - dice il capogruppo di Iv in Senato Enrico Borghi al Dubbio - ma abbiamo riscontrato che, per come si sta sviluppando, il ddl Casellati è incoerente rispetto a quanto sembrava».

Di parere ancora diverso è Calenda, che ieri ha illustrato in conferenza stampa la proposta di Azione. «Proponiamo alla Meloni una riforma istituzionale che abbia nelle legge elettorale l’indicazione del presidente del Consiglio, ma che per il resto sia praticamente identica al cancellierato tedesco, che si è dimostrato stabile ma che consente, se un presidente del Consiglio non si dimostra all’altezza, di poterlo cambiare, e che soprattutto non lo mette su un piano di superiorità rispetto al presidente della Repubblica, perciò penalizzando quest’ultimo - ha detto Calenda - Chiedo alla Meloni e alle altre opposizioni di sederci a ragionare, di non andare all’ennesimo referendum, io ne ho già vissuto uno, che spacca il Paese in due e non porta bene a chi lo fa».