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Cè un che di bulimico nel modo in cui Matteo Renzi prepara la campagna elettorale per il referendum. La decisione di derubricare lappuntamento amministrativo infatti - che già di per sè rappresenta un elemento straniante nellagenda di un capo di governo che è contemporaneamente leader del principale partito che si presenta alla urne con propri candiati in importantissime città - sempre più si sposa con unenorme esposizione mediatica tutta finalizzata alla prova di ottobre. Laffastellamento di argomenti, la giustapposizione di annunci, promesse, rassicurazioni, fendenti, richieste di moratoria, sta assumendo sembianze enciclopediche al punto da far diventare inevitabile linterrogativo se si tratti di un sintomo di forza oppure di crescente inquietudine. Come sempre in questi casi si possono trovare argomenti a favore delluna o dellaltra ipotesi. Una cosa però è difficile da accettare: che il presidente del Consiglio voglia accarezzare gli italiani per il pelo delle loro aspettative unicamente al fine di guadagnarne lapprezzamento e in definitiva il voto. Interpretazione fin troppo ingenua e banale visto che, al contempo, spiega troppo o troppo poco. Troppo perché se i numeri, a partire dai sondaggi, sono rassicuranti tanta precipitazione finisce per apparire sospetta e suscitare il sospetto opposto. Troppo poco, perchè la raffica di effetti speciali comunicativi finisce per consegnare ai tanti e ben appostati oppositori del premier - che infatti la stanno usando senza risparmio - una micidiale arma daccusa per annunci senza seguito e mance elettorali prive di consistenza.Mancano ancora cinque mesi allapertura dei seggi referendari, e la strategia di palazzo Chigi avrà modo di affinarsi. Tuttavia un aspetto va analizzato fin dora perché ha una rilevanza specifica. Riguarda il fisco. Nellappuntamento social dellaltro ieri, il capo del governo ha detto che ridurrà lIrpef (ma nel 2017) per alleviare il carico impositivo del ceto medio, e che lormai famigerata Equitalia «non arriverà al 2018». Impegni diluiti nel tempo, dunque. Però comunque impegni. Che a ben vedere segnano un discrimine, una sorta di punto di non ritorno. Perchè il fisco è il fronte sul quale gli italiani sono più sensibili: prendono nota e poi se ne ricordano. Proprio la mancata realizzazione della promessa di abbassare le tasse, più ancora del famoso milione di posti di lavoro da creare, ha determinato infatti la sconfitta di Silvio Berlusconi e la delusione nei suoi confronti poi tradottasi in uninarrestabile emorragia elettorale. Meno tasse per tutti è risultato lo slogan più inapplicato e più deleterio ai fini del mantenimento dellappeal elettorale. Tagliare le tasse è una specie di bomba ad orologeria: se sei capace di disinnescarla, sei un eroe. In caso contrario, salti in aria e buonanotte.Ebbene quellordigno Matteo Renzi lha messo in campo non è ancora ben chiaro con quanta convinzione e consapevolezza. Però adesso che cè, toglierla di mezzo è impossibile. Lo sa bene lo stesso premier che nei giorni scorsi lamentava il fatto che pur avendo cancellato lImu sulla la prima casa e diminuito altri balzelli non era riuscito a trasmettere ai cittadini la percezione di un calo delle imposte. Figuriamoci cosa può accadere per lIrpef, madre di tutte le battaglie.E adesso? Adesso quel traguardo fiscale diventa ancora più impervio. Perchè per tagliare le tasse occorre trovare risorse. Vero che al momento Bruxelles ha fatto buon viso alla flessibilità invocata da Roma. Vero anche lavvertimento lanciato dalla Ue al governo: nella prossima legge di bilancio bisognerà individuare cifre certe per diminuire il deficit e sterilizzare in maniera definitiva le clausole di salvaguardia con annesso aumento dellIva. Ebbene la legge di stabilità con annessa diminuzione fiscale e clausole di salvaguardia va messa nero su bianco a ottobre, più o meno in coincidenza con il voto del referendum costituzionale. Risultato: il capo del governo dovrà stare attento a miscelare bene gli ingredienti politici e comunicativi per non rischiare leffetto maionese impazzita.