Nella Francia del sussulto repubblicano che ha sbarrato la strada a Marine Le Pen e Jordan Bardella, la sinistra festeggia, l’estrema destra si lecca le ferite e il presidente Macron si trova costretto a gestire il passaggio politico più instabile della storia recente. Il frutto avvelenato della sua dissolution decisa d’imperio dopo il disastro del voto europeo, ma pur sempre una male minore rispetto al previsto trionfo del Rassemblement National.

Come impone la prassi repubblicana il primo ministro Patrick Attal ha rassegnato le dimissioni, ma resterà in carica ancora un po’, fa sapere l’Eliseo. Probabilmente fino alla cerimonia di chiusura dei giochi olimpici di agosto. Ma non è escluso che la situazione possa cambiare anche prima di quella data. La costituzione non stabilisce una tempistica specifica per la formazione di un nuovo esecutivo ma la domanda che rimbalza nelle redazioni di giornali e tv, nei palazzi parigini e tra la gente comune resta ineludibile: chi governerà il Paese?

Il Nuovo fronte popolare (Nfp), che unisce l’anima radicale della France insoumise (Fi) al il riformismo dei socialisti e degli ecologisti è il primo gruppo all’Assemblea nazionale con 182 deputati, a cui si possono unire i 13 delle altre sinistre varie. Numeri del tutto insufficienti per ottenere la maggioranza di 289 parlamentari. Difficilmente troverà soccorso dai 168 deputati della coalizione presidenziale, considerando che la campagna elettorale del Nfp si è svolta all’insegna della «rottura totale» con la “macronia”.

Jean Luc Mélenchon, leader di Fi e vincitore delle legislative fa sapere che l’Eliseo deve affidare l’incarico di primo ministro a un esponente dello schieramento vincitore «perché si è sempre fatto così». Non è un mistero che Mélenchon, azionista di maggioranza dello schieramento vincitore, punti a Matignon anche se non si è mai proposto direttamente per non irritare gli alleati: «Posso anche fare il semplice ministro» aveva detto qualche giorno fa. Per i suoi seguaci è lui il candidato naturale, il più competente e carismatico nel campo della gauche, ma socialisti e verdi vorrebbero presentare una personalità meno spigolosa e più consensuale: tutto verrà deciso nei prossimi giorni fanno sapere dal Nfp.

Le ipotesi in campo sono però diverse e ognuna in qualche modo inedita per gli schemi della Quinta repubblica. Vediamone alcune. Un’ampia coalizione trasversale ai partiti, una specie di governo di unità nazionale come vorrebbero gli esponenti dell’ex maggioranza presidenziale, i quali però escludono «intese con gli estremi» come ha detto l’ex premier Edouard Philippe. In altre parole nessun accordo con Le Pen, ma neanche con la France Insoumise.

C’è poi lo scenario del governo di minoranza. Una strada già percorsa con gli ultimi due governi di Elizabeth Borne e Gabriel Attal, che però disponevano di una pattuglia di 246 deputati, una cinquantina in meno del quorum. Per due anni hanno vivacchiato senza che gli avversari si unissero per sfiduciarli e facendo approvare una sessantina di leggi, soprattutto con il sostegno della destra moderata dei Républicains e persino del Rn sulla legge immigrazione. E quando non hanno trovato sponde in Assemblea è intervenuto Macron con l’uso smodato dell’articolo 49.3 della costituzione che permette al presidente di far entrare in vigore le leggi anche senza maggioranza parlamentare. In particolare per far passare la contestatissima riforma delle pensioni.

Si è parlato anche di un governo tecnico che riunisca personalità al di fuori dei partiti per far approvare la legge di bilancio, gestire l’ordinaria amministrazione e tenere in ordine i conti, qualcosa di mai visto nella politica francese e che i media indicano come «soluzione all’italiana» citando la recente esperienza di Mario Draghi, ma anche quella precedente di Mario Monti. Una soluzione molto complicata quest’ultima, che scavalcherebbe i verdetti delle urne e che milioni di francesi vedrebbero come un rovesciamento della “volontà popolare”: la patria della Rivoluzione non è abituata alla tecnocrazia.