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Non sono in grado di dire se sia record assoluto, ma certamente è un’ottima performance. Il Def 2019 raggiunge gli 11,5 centimetri di altezza come somma tra corpo principale e allegati, stampati rigorosamente in pagine fronte- retro. Scagli il primo tomo chi l’ha letto tutto.
Limitandosi alle prime tre pagine, la grande novità del Documento di Economia e Finanza ( Def), il principale strumento di programmazione economica, è il riavvicinamento tra realtà e visione del Governo sulle condizioni economiche del nostro Paese. Dopo lunghi mesi di separazione netta tra i due, questo incontro va salutato con sincera soddisfazione.
Ci lasciamo definitivamente alle spalle le incredibili prospettive di ripresa, il possibile nuovo boom economico anni ’ 60, gli uno o uno e mezzo per cento di crescita, che per alcuni potevano diventare due o addirittura tre per cento, le eccitanti suggestioni di un 2019 come “anno bellissimo”: i numeri del Def dicono 0,2% di variazione del Pil nel 2019. Praticamente dentro l’errore di previsione, non potendosi quindi escludere neppure una nuova recessione.
Però, questi numeri, che in un contesto di economia “normale” potrebbero sembrare disperanti, nell’attuale situazione sono un segnale positivo: la credibilità dello scenario è un requisito fondamentale, infatti, per riacquistare fiducia presso cittadini, istituzioni internazionali e mercati finanziari. Di fiducia i cittadini hanno bisogno: nel primo quarto del 2019 rispetto al secondo quarto dello scorso anno il sentiment dei consumatori ha perso quasi il 3%, quello delle imprese il doppio.
La conflittualità con l’Europa è oscillante. I conti veri si faranno a fine estate, quando, dopo la tornata elettorale, si comincerà a disegnare la composizione della Commissione europea. A quel punto, toni, contenuti e linguaggio dovranno essere massimamente equilibrati. L’interlocutore che più rileva è il complesso degli investitori internazionali. Molto scioccamente, di essi si tende a offrire una rappresentazione caricaturale in guisa di soggetti cinici che perseguono interessi oscuri e talvolta censurabili, privi di controllo e di morale. Niente di più falso: i fondi pensione americani o le assicurazioni olandesi o australiane, perseguono obiettivi di redditività di lunghissimo termine che deve remunerare, o almeno proteggere, il risparmio accumulato da lavoratori e imprenditori durante l’arco di un’intera vita. Allora, domandiamoci perché gli investitori non hanno simpatie per i nostri titoli. Si pensi che il debito del Portogallo è considerato di peggior qualità rispetto al nostro ( rating S& P BBB- contro BBB per l’Italia) eppure per comprare i nostri buoni del tesoro a lunga scadenza gli investitori chiedono un rendimento superiore di circa 120 punti base rispetto a quanto pretendono per acquistare i titoli sovrani portoghesi. Ciò ha a che fare necessariamente con la fragile credibilità pubblica internazionale dell’Italia, credibilità che aumenterà, credo, dopo questo Def. Un’annotazione critica va, però, fatta. Mentre decine di volte al giorno i nostri governanti ci assicurano che non scatteranno le clausole di salvaguardia (+ 23,1 miliardi di euro di aumenti Iva per il 2020) nel Def non c’è scritto come si raggiungerà questo risultato. Non è circostanza gradevole, ma va accettata, perchè non si poteva pretendere un’analisi puntuale di uno snodo così impegnativo, quando negli ultimi mesi abbiamo sentito parlare solo di flat tax in tutte le salse, di nuovi interventi di spesa, più investimenti pubblici e ancora di politiche ridistributive, in pratica di tutto tranne che di reperimento di risorse.
La pessima conseguenza è che, dunque, il quadro programmatico include l’attivazione degli incrementi dell’Iva. Non solo. Sotto tale condizione, la previsione di crescita del Pil è collocata allo 0,8% per il 2020. Ora, poiché gli incrementi delle tasse hanno certamente un effetto recessivo - nel caso specifico tra sei decimi e un punto di Pil - ciò vuole dire che la previsione del Governo senza incrementi Iva si collocherebbe tra + 1,4 e 1,8% nel 2020. E, quindi, ci risiamo con il piccolo boom economico, cioè con la presa di distanza dalla realtà ( come ragionevole previsione del prossimo futuro). Questo esagerato ottimismo ha poi riflessi aritmetici sulla valutazione prospettica del rapporto deficit- Pil che potrebbe essere sottostimato.
Ma il 2020 appare talmente problematico che, per adesso, è bene accontentarsi del riconoscimento di un’Italia in piena stagnazione. Il futuro può attendere, sperando in un nuovo incontro tra realtà e politica. Sembra si siano dati appuntamento a ottobre, quando si dovrà scrivere la legge di bilancio.
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