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Pd M5S inceneritore Roma
Ci sono due questioni, più di altre, che rendono difficile il dialogo tra Pd e Movimento 5 Stelle. La prima è la guerra e tutto ciò che ne consegue, dall’invio di armi a Kiev, sacrosanto per i dem, rivedibile per i grillini, al sostegno all’entrata di Finlandia e Svezia nella Nato, altrettanto sacrosanto per Enrico Letta, qualcosa su cui ragionare per Giuseppe Conte (ma non per Luigi Di Maio, uno dei più attivi sul fronte del sì, e in fretta, all’adesione dei due paesi scandinavi). L’altra è il termovalorizzatore di Roma, dopo il passo in avanti compiuto dal sindaco Pd, Roberto Gualtieri, e lo stop pentastellato. Uno stop, questo, ancor più forte di quello per la fornitura di armi all’Ucraina, tanto che Virginia Raggi ha auspicato che il Movimento stacchi la spina al governo in caso di approvazione del decreto Aiuti (che contiene la norma sull’inceneritore) e lo stesso Conte, che ieri ha convocato il Consiglio nazionale proprio su questi temi.
In mezzo, le Amministrative di giugno in cui i due partiti correranno assieme in tutti i 26 capoluoghi di provincia al voto, di cui quattro capoluoghi di Regione, dato che tuttavia non impedisce di osservare le diversità con cui dem e grillini arrivano all’appuntamento: compatti i primi, con la cura Letta che ha attestato ormai il Nazareno sopra al 20 per cento; in discesa i secondi, con i sondaggi che segnano un 12,5 per cento e soprattutto con la grana di non essere riusciti a presentare una lista in città come Verona, Parma, Belluno e Monza.
In tutto questo caos, dunque, come si può parlare ancora di campo largo di centrosinistra in vista delle Politiche 2023? A rispondere ci ha pensato direttamente Letta, che domani riunisce la direzione del partito, e lo ha fatto tirando l’acqua al suo mulino. «Il centrosinistra è dove c’è il Pd e quindi noi pensiamo che il centrosinistra non sia diviso ha detto ieri a Piacenza sostenendo la candidata a sindaco Katia Tarasconi - Il Pd ha riguadagnato centralità, forza e generosità e stiamo lavorando a una coalizione larga: sono molto convinto che questo lavoro porterà i suoi frutti soprattutto in vista delle Politiche».
Insomma, il centrosinistra è prima il Pd, poi, in caso, gli altri. Una linea sposata alla perfezione da Andrea Marcucci, ex capogruppo dem in Senato, che ieri è tornato a ribadire come «con i possibili alleati serve chiarezza» perché «le intese elettorali si possono fare solo concordando la stessa piattaforma». Ovvero, secondo Marcucci, «agenda Draghi, europeismo, atlantismo», perché «non possiamo ammettere indecisioni».
Indecisioni che invece dalle parti del Movimento ci sono eccome, in primis quelle per la scelta del candidato a sostituire Vito Petrocelli alla presidenza della commissione Esteri del Senato. E qui si torna alla prima delle questioni scottanti, cioè la richiesta di adesione all’Alleanza atlantica di Helsinki e Stoccolma. Che, in attesa della ratifica del Parlamento che saprà tanto di resa dei conti nella maggioranza, certifica la diversità di vedute tra l’ala dimaiana e quella contiana tra i grillini. «La collega svedese Ann Linde (ministra degli Esteri svedese, ndr) mi ha appena comunicato che il suo Paese ha depositato la richiesta di adesione alla Nato - ha scritto ieri Di Maio su Twitter Mi sono congratulato e ho assicurato il supporto dell’Italia: avanti sempre più uniti».
Con buona pace di chi, dai più alti dirigenti grillini all’ultimo dei peones, non vede di buon occhio la mossa tanto sostenuta dal ministro degli Esteri. Qualcosa su cui andare d’accordo, Conte e Di Maio, in realtà ieri l’hanno trovato. Cioè l’assoluzione dell’ex sindaca di Torino, Chiara Appendino, dall’accusa di falso in bilancio nell’ambito del processo Ream. «Non abbiamo mai avuto dubbi sulla tua integrità e sull’azione politica che hai portato avanti e la sentenza di oggi ti rende giustizia», ha detto Conte all’ex prima cittadina, mentre Di Maio si è detto «felice» per l’assoluzione di «una donna che ha sempre dato il massimo per la sua città e per il MoVimento 5 Stelle». Ma a meno di un mese dalle Amministrative, i giorni in cui Appendino batteva Fassino a Torino e Raggi diventava sindaca di Roma, sembrano più lontani che mai.