Non sarebbe la prima volta che una legge di bilancio arriva all'approvazione come in un thriller di quelli “all'ultimo minuto”, a ridosso della linea rossa, mezzanotte del 31 dicembre. Nella prima Repubblica, per la verità, quel confine è stato varcato a volte sino ad arrivare all'esercizio provvisorio, altre volte no ma solo grazie all'espediente delle “lancette fermate”. Insomma il tempo scorreva ovunque tranne che nelle aule del Parlamento.

Altri tempi. Oggi espedienti simili sarebbero impensabili e l'esercizio provvisorio un disastro politico, oltre che un danno corposo all'immagine dell'Italia in Europa, nel mondo e nei maledetti mercati. Non succederà. La legge di bilancio sarà approvata tra natale e capodanno ma lo smacco per la premier resta e l'irritazione monta. La tabella di marcia prevedeva un'approvazione lampo, entro il 15 dicembre: un motivo di vanto che avrebbe spinto la riforma costituzionale, in nome dell'efficienza prodotta dai poteri del capo, e garantito bella figura in Europa, mai tanto utile anzi necessaria come in questo momento. L'ordine di violentare definitivamente i crismi di una Repubblica parlamentare vietando alla maggioranza di presentare emendamenti doveva servire proprio a questo.

Niente da fare, è andata male, potrebbe finire anche peggio. Un pertugio era rimasto aperto, i pochissimi emendamenti che il governo si riservava di presentare, alla fine saranno 4, e quelli, appena più numerosi lasciati a disposizione dei relatori. Le forze della maggioranza, come sarebbe stato facile prevedere, ne hanno approfittato per incunearsi e il treno in corsa di Giorgia ha deragliato. Fi non aveva mai rinunciato alla proroga del Superbonus.

Dario Damiani, che nella lottizzazione dei tre relatori è quello azzurro, parlava, minimizzando di piccolezze finalizzate a chiudere «qualche stato di avanzamento dei cantieri» ma ovviamente «in maniera non onerosa». Chiacchiere. Il progetto forzista, proroga fino ad aprile per il progetti realizzati almeno al 60 per cento entro il prossimo 31 dicembre, era onerosa eccome e non solo sul piano finanziario.

Da oltre una settimana, nelle discussioni a livello europeo sulla legge di bilancio, Giorgetti ripete che buona parte dei problemi dell'Italia deriva proprio dall'eredità del Superbonus. La premier lo ha sottolineato anche ieri in aula, nelle comunicazioni prima del Consiglio europeo di domani. Tutto bene, anzi benissimo: a parte il Superbonus che «pesa come un macigno sui conti pubblici».

Senza di quello, ha assicurato il ministro, l'Italia sarebbe in grado di rientrare di un punto percentuale di debito all'anno già dal 2024. Una proroga del Superbonus a questo punto scatenerebbe le ire dei frugali, a partire dalla Germania. Verrebbe visto come la conferma dell'incorreggibile carattere degli italiani, che giustificano i loro problemi con un provvedimento sbagliato e intanto lo prorogano. Si può capire e comprendere perché, sentendo le parole dei forzisti, Giorgetti sia saltato sulla sedia e abbia fatto diffondere un comunicato tra i più laconici dal quale tuttavia trasuda irritazione: il Mes «esclude e smentisce» proroghe.

Ma Fi non si convince. Il capogruppo Barelli torna alla carica anche dopo il pollice verso di Giorgetti: «Vanno aiutati con una proroga i cittadini onesti e le aziende corrette che oggi si trovano in difficoltà». Il relatore di FdI Liris accenna a un'ipotesi di mediazione. Un Sal ( Stato avanzamento lavori) che andrebbe presentato entro il prossimo 10 gennaio e sul quale, anche se non completato al 100 per cento, si applicherebbe il 110 per cento. Il ministro Misiani informa che la questione è delicata, va affrontata «con accortezza» e insomma «ne stiamo discutendo». Tenendo conto delle premesse drastiche e dell'addebito di ogni guasto al bonus da parte del governo non è la figura migliore che si possa immaginare.

Come non è brillante la continua posticipazione degli emendamenti dei relatori. Dovrebbero essere 12 ma a paralizzare tutto è uno solo: quello che rivede il finanziamento del Ponte di Salvini e che deve fare i conti con le bizze del leader leghista. Ma le richieste di interventi sono state innumerevoli, Fi aveva addirittura proposto di procedere con 10 emendamenti per gruppo parlamentare di maggioranza: il buon vecchio assalto alla diligenza. Alla fine, in ogni caso, la legge di bilancio sarà varata in tempo. Ma per Giorgia Meloni si conferma che il guaio grosso non è l'opposizione. È la sua maggioranza.