Il tema è annoso quanto spinoso ed è stato sollevato da ultimo dalla Cedu, oltre che essere indicato da Bruxelles come riforma necessaria e condizione per l’accesso ai fondi del Recovery Fund: la lentezza della giustizia civile italiana è uno dei tappi per la ripartenza. Eppure, nelle 46 pagine di sintesi della relazione prodotta dalla task force di Vittorio Colao, il tema merita poco più di mezzo paragrafo. Per trovarne traccia, è necessario prendere il testo completo della relazione (nelle 46 slide di riassunto il passaggio non viene nemmeno inserito). La giustizia civile viene inserita nelle prima pagine, sotto la dicitura “Spunto di riflessione”. La task force, infatti, sottolinea di aver «focalizzato la propria attività sugli interventi che potranno avere impatto di rilancio entro il prossimo biennio, proponendo iniziative specifiche per consentire una trasformazione effettiva e renderne chiaramente percepibile l’avvio» e da questi interventi sono escluse le «ampie riforme strutturali di contenuto specialistico, quali quelle della Giustizia civile, della Fiscalità e del Welfare», per le quali però vengono offerte alcune considerazioni. La prima è l’enunciazione di principio per cui «La riforma della giustizia civile, con l’obiettivo di ridurre i tempi e aumentare la certezza della giustizia civile, è imprescindibile per un Paese che intenda attrarre gli investimenti esteri e aumentare quelli domestici.

La durata media dei procedimenti è riconosciuta unanimemente, in Italia e all’estero, come uno dei maggiori punti di debolezza strutturale del Paese». A questa premessa segue un elenco di sette proposte: «Rafforzare ulteriormente gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, rendendoli effettivamente preferibili all’azione giudiziaria»; «creare adeguati meccanismi che disincentivino la promozione di cause di modesto valore e/ o pretestuose»; «cercare di risolvere sul piano legislativo le cause seriali che rallentano i tribunali»; «digitalizzare i procedimenti»; «rendere maggiormente efficaci i filtri per l’accesso al giudizio di Cassazione»; «riorganizzare la macchina giudiziaria e amministrativa»; «avviare le opportune verifiche sulle disfunzioni territoriali rispetto alla media nazionale di numero e durata dei procedimenti, ferme restando le competenze di Csm e ministero della Giustizia».

Tra i punti più significativi, seppur non debitamente approfonditi e lasciati al livello di pura enunciazione, ci sono la proposta di aumentare i filtri per l’accesso al terzo grado di giudizio e il disincentivo alla promozione di cause di modesto valore. Entrambe le proposte sono contenute anche nella recente pubblicazione firmata da Carlo Cottarelli (che però articola in modo più specifico sia il tipo di nuovo filtro al ricorso in Cassazione, con un organo giurisdizionale ad hoc; che il disincentivo alla trattazione di controversie di modico valore, aumentando il valore del contributo unificato), che però è stata accolta da critiche, in particolare dagli avvocati civilisti. La principale contestazione: il fatto di pensare di velocizzare la giustizia civile inserendo ostacoli all’accesso della giurisdizione, con il rischio di limitare il diritto costituzionalmente garantito di azione dei cittadini per difendere i propri diritti.

Intanto, il governo Conte ha preso atto della necessità di intervenire sulla giustizia civile e, per farlo, ha rispolverato la proposta di legge delega ferma in Commissione Giustizia dal 3 marzo scorso. Il testo - che ha come punti chiave la riduzione dei riti e la loro semplificazione; l’introduzione di strumenti di istruzione stragiudiziale e l’implementazione del processo telematico -, tuttavia, è già stato giudicato insufficiente dagli addetti ai lavori. Il presidente dell’Unione nazionale camere civili, Antonio De Notaristefani, infatti, ha sottolineato come si tratti dell’ennesima riforma a costo zero, con scarsissima capacità di incidere in profondità sulle cause della lentezza del processo. «Il problema della Giustizia civile è, in primo luogo, un problema di mezzi e poi un problema di organizzazione», ha ribadito.

Insomma, servirebbero mezzi, risorse, assunzione e formazione del personale. Esattamente il convincimento anche dell’Unione Europea, che questa direzione ha indicato all’Italia. Mentre, nelle relazioni tecniche presentate al governo, di proposte di investimenti non c’è traccia.