C'è chi assicura - qualcuno anche dalle parti di palazzo Chigi - che nella battaglia referendaria Matteo Renzi ha un asso nella manica tanto riservato quanto sorprendente: l'assicurazione, che arriverebbe da autorevoli fonti dall'inner circle berlusconiano, che l'ex Cavaliere non si svenerà per far vincere il No. Certamente l'opposizione alle riforme costituzionali rimarrebbe la parola d'ordine ufficiale di Forza Italia: però, sotto sotto, Berlusconi non sarebbe dispiaciuto se Renzi prevalesse. Magari di poco, in modo da costringerlo ad un riavvicinamento che ricalchi il Nazareno.Lasciamo stare se si tratti di una eventualità fondata oppure dell'ennesima leggenda politica metropolitana. Concentriamoci invece sul punto vero: a FI conviene che vinca il Sì oppure meglio il contrario?Per capirlo, è necessario partite da un dato oggettivo: e cioè che il fronte berlusconiano a tutto anela tranne che ad una crisi che sbocchi in elezioni anticipate.Berlusconi è ancora convalescente e nonostante ci sia chi assicura che il 29 settembre, giorno del suo ottantesimo genetliaco, una fantasmagorica convention ne sancirà il rientro ufficiale sulla scena politica, è plausibile ritenere che i medici da un lato, la famiglia dall'altro, consiglieranno tempi e sforzi più diluiti. Nel frattempo la leadership di Stefano Parisi - posto che sia davvero questo il disegno del vecchio Patriarca di Villa Certosa - deve consolidarsi e superare resistenze interne ed esterne a FI; il programma va scritto in larga parte; le parole d'ordine per la campagna elettorale - come pure il capitolo alleanze: il più delicato - devono essere ancora definite. Soprattutto il compito specifico di Parisi: riorganizzare il partito lungo i gangli che dal centro vanno alla periferia, è appena all'inizio. Per farla breve, un collasso politico che portasse allo scioglimento del Parlamento, troverebbe FI e in realtà buona parte del centrodestra, impreparata.Detto questo, c'è il capitolo Renzi. Trovare un'intesa con il premier resta l'opzione di importanti personaggi vicini a Silvio: i quali però non si nascondono che è quasi un miraggio ritenere possa diventare una praticabile linea d'azione. Da settembre in poi (ma di fatto già adesso), infatti, comincerà uno scontro politico, mediatico, parlamentare che lascerà poco spazio a manovre e abboccamenti. Per sua natura la scelta referendaria non ammette posizioni mediane e di compromesso. Inoltre la legge di Stabilità non potrà che essere terreno di battaglia fortemente contrassegnato e divisivo. Insomma le prossime settimane risulteranno assai calde sotto il profilo della contrapposizione tra schieramenti. In un simile scenario, come si potrebbe coltivare una linea di possibile intelligenza con quello che resta un antagonista: ossia Renzi, il suo governo, la sua maggioranza, i suoi alleati? Certo per il capo del governo ogni tipo di aiutino è benaccetto. Ma per il fronte berlusconiano, comunque articolato, non può che risultare impervio sparare a zero nelle piazze ed in TV contro il bersaglio grosso di palazzo Chigi e poi, riservatamente, tessere intese e cucire possibili accordi.Che il problema ci sia, lo confermano anche (dopo le iniziali aperture) le recenti posizioni di Stefano Parisi che, su Repubblica, sentenzia: al referendum "bisogna votare No. E devono poterlo fare anche coloro, e sono tanti, che pensano che la riforma costituzionale sia un gran pasticcio ma ritengono necessario scongiurare il vuoto politico". Infatti. Per allontanare quello spettro, Parisi propone un'Assemblea Costituente tanto idealmente suggestiva quanto assai difficilmente realizzabile nella realtà. L'Assemblea, infatti, dovrebbe essere il luogo al riparo della conflittuale contingenza politica nel quale si scrivono le regole del gioco nel massimo del consenso possibile. Peccato però che in quel consesso siederebbero accanto sia chi quell'esercizio vuole intraprendere sia chi vuole sbarrarne il passo. Sia chi vuole rivedere le regole della Costituzione attuale sia chi vuole cancellarle per vergarne di completamente nuove, preferibilmente in solitaria.Lasciamo perdere, almeno per il momento. Ricapitolando, nella battaglia referendaria FI non potrà che schierarsi nella trincea degli oppositori a Renzi. Se quest'ultimo vince, anche se di poco, una competizione che al momento assomiglia molto ad un giro di roulette, è complicato immaginare voglia cercare appoggi nel centrodestra seppur moderato. A sbarrare la strada per primo ci si metterebbero Alfano con l'Ncd, Verdini e tutti gli altri che non stanno nel Pd e con il referendum si giocano grandissima parte del loro patrimonio politico. E comunque quel tipo di trattativa l'inquilino di Palazzo Chigi la condurrebbe con l'aureola del vincente: di colui cioè che ha poco da concedere. E in ogni caso a caro prezzo. Dove starebbe la convenienza - politica naturalmente: le altre meglio lasciarle perdere - di Forza Italia? Se invece i No prevalgono e Renzi perde la sua principale battaglia, nel caso in cui si rimangiasse la promessa e restasse in carica le parti si rovescerebbero: sarebbe Berlusconi ad avere tutti gli assi in mano. Che tipo di intesa - con la sinistra dem pronta, essa sì, ad imbracciare il lanciafiamme e i centristi disorientati - sarebbe possibile sancire? Se invece, come pure resta probabile, Renzi in caso di sconfitta lasciasse, il problema si risolverebbe da solo per scomparsa dell'interlocutore.Comunque la si voglia rigirare, la partita referendaria è di quelle che non fanno prigionieri. È questo lo sanno bene tutti gli attori politici in campo.