La campagna per i ballottaggi? Meglio farla senza leaeder nazionali. Soprattutto per le città in cui la partita è ancora aperta. Come a Milano, dove il candidato renziano Beppe Sala sta facendo di tutto per distinguersi da colui che l’ha creato: il presidente del Consiglio. L’aspirante sindaco, e una parte del Pd, temono che l’associazione con Matteo Renzi possa essere controproducente. Il più chiaro di tutti, in questo senso è stato Pierfrancesco Majorino, ex assessore alle Politiche sociali nella giunta Pisapia, e campione di preferenze alle ultime Amministrative, ben 7mila e 500. «Uno dei nostri elementi caratterizzanti è che a Milano siamo un’esperienza autonoma, fuori dalle logiche nazionali. Milano non c’entra con Denis Verdini e col Partito della nazione. Questo è un messaggio ancora non compreso o condiviso da tutti», ha spiegato a Repubblica l’esponente dem milanese, che poi ha puntualizzato: «Rimane preoccupazione che, attraverso Sala, ci possa essere chissà quale strano tipo di operazione politica guidata da Renzi. Dobbiamo essere più efficaci nello spiegare che questo timore è infondato. Sala ha subito un processo alle intenzioni anche se ha detto chiaro che non vuole alleanze con gli oppositori di Pisapia e che ci sarà continuità con le nostre politiche sui diritti civili e contro le povertà». Tradotto: meglio che Renzi non venga a Milano fino al 19 giugno, giorno del voto. Più chiaro di così sarebbe difficile. Eppure sembra che non sia mai abbastanza, tanto che ieri, Beppe Sala in persona si è sentito in dovere di intervenire: «Sono elezioni locali, pensiamo a Milano, il Governo centrale non c’entra nulla», ha ribadito l’aspirante sindaco.Ma Sala non è l’unico candidato Pd a temere l’abbraccio mortale con Renzi. In questa fase preferirebbe non essere confuso col premier anche Piero Fassino a Torino che teme una rimonta prodigiosa, ma non impossibile, della pentastellata Chiara Appendino. Anche Virginio Merola a Bologna non fa altro che sottolineare la differenza tra governo nazionale e locale: «Non abbiamo bisogno di trasformare questa campagna elettorale in un referendum pro Renzi. In molti l’hanno vista così e questo sicuramente ci ha fatto del male». E per marcare ulteriormente le distanze, Merola, che dovrà vedersela con la leghista Lucia Borgonzoni, all’indomani del primo turno ha aggiunto: «Anche a livello nazionale non c’è bisogno di un partito della nazione ma di un partito del centrosinistra capace di sapersi allargare e di ottenere maggiori consensi». Solo Roberto Giachetti spera in un intervento del segretario: «Se Renzi viene a un’iniziativa prima del ballottaggio io sono felicissimo».Ma se Renzi viene scansato volentieri dai suoi candidati, non si può dire che a Beppe Grillo vada meglio. Virginia Raggi e Chiara Appendino hanno fatto a meno, loro malgrado, del leader 5 stelle al primo turno e farebbero a meno, volentieri, del capo al secondo turno. A Roma, del resto, il risultato del Movimento è andato oltre le più rosee aspettative senza che l’ex comico ci mettesse la faccia. Pare però che Grillo sia intenzionato a chiudere la campagna elettorale di Raggi a Ostia il 17 giugno. Se la notizia fosse confermata, tirerebbe un sospiro di sollievo Appendino, libera di gestirsi in piena autonomia lo scontro finale con Fassino. La stessa autonomia che le ha consentito di portare a casa un risultato storico già al primo turno.