Ancora pochi giorni e sarà il giorno della trentesima candelina. Il 17 febbraio 1992 finì in manette Mario Chiesa, socialista, presidente del Pio Albergo Trivulzio. Fu colto in flagrante mentre intascava 7 milioni di lire, metà della tangente pattuita, il 10 per cento di un appalto da 140 milioni. I giornali diedero alla notizia un certo risalto. Comparve su molte prime pagine mai però in apertura. Non era la prima volta che un'indagine sfiorava o toccava il Psi di Bettino Craxi, ma se nessuno s'immaginava uno tsunami epocale molti profetizzavano guai per la Milano da bere dell'ex sindaco socialista Paolo Pillitteri. Craxi cercò di minimizzare: «Mi trovo un mariuolo che getta un'ombra su tutta l'immagine di un partito». Il "mariuolo" si sentì abbandonato, vuotò il sacco, il sasso diventò frana, travolse la prima Repubblica, spazzò via un'intera classe politica, passò come lava ribollente su partiti che si credevano intoccabili, rivelò anche la fragilità di un edificio le cui fondamenta erano marcite senza che gli abitanti dei piani alti ne avessero il minimo sentore. La catastrofe fu accolta dai più, a partire all'intero apparato dei media, con entusiasmo, speranza, spesso partecipazione attiva. Sulle rovine del palazzo crollato si andava a costruire un nuovo edificio: moderno, trasparente, dinamico, efficiente. Poco più di un anno dopo quell'arresto, il referendum sulla legge elettorale caricatosi di valenze molto più vaste del suo già fondamentale merito, diede il colpo di grazia alla prima Repubblica. Le cose, si sa, non sono andate proprio come auspicato. Soprattutto tra i politici e i giornalisti le battute sulle meraviglie di quella Repubblica già dipinta come sentina di corruzione sono da un bel pezzo luogo comune, pane quotidiano, ovvietà condivise. I giudizi caustici sul presente e sul passato prossimo sembrano dire che la nuova magione si è rivelata peggiore di quella travolta dalla tempesta di tangentopoli. Però non è così e il problema è diverso. Su quelle rovine non è stato costruito nessun nuovo Palazzo: piuttosto tendopoli e casette prefabbricate destinate a resistere giusto un paio di stagioni. La domanda è dunque perché in una trentina d'anni la politica è rimasta in mezzo al guado, senza mai ricostruire davvero ma limitandosi a soluzioni provvisorie. Una delle ragioni principali, pur se certamente non l'unica, è nel vizio originario costituito da un terremoto politico quasi senza precedenti provocato in ampia misura da un'inchiesta giudiziaria. Forse, anzi probabilmente, la prima Repubblica era destinata a concludere comunque la propria esperienza. L'avanzata che sembrava irrefrenabile della Lega a nord, il referendum che avrebbe comunque sferrato un colpo fatale a quel sistema erano segnali chiari in quella direzione. Di fatto però fu un'azione giudiziaria a mettere traumaticamente fine alla prima Repubblica e da allora la politica non ha mai smesso di essere considerata, e di considerarsi, una specie di sorvegliata speciale, paralizzata dall'ipoteca del controllo della magistratura. È possibile che quella lunga fase si avvii al tramonto e da questo punto di vista la parabola del M5S è molto eloquente. Nel Movimento erano confluite disordinatamente varie spinte ma il terreno unificante era stato proprio il primato del controllo giudiziario sulla politica e la riduzione della politica a questione di legalità e onestà. Sin dall'approdo in Parlamento, «la scatoletta di tonno», sono stati evidenti sia il feticismo dei regolamenti che i guasti che questo induceva. La vicenda della leadership di Conte revocata dalla magistratura, come se la politica si potesse ridurre a una lite di condominio, segna il fallimento di quella visione perché porta alle estreme conseguenze uno smarrimento del Movimento nel labirinto costituito dai suoi stessi feticci, coincidenti però con la fede illimitata del primato del potere giudiziario su tutti gli altri. L'indagine su Grillo da un lato, la scelta dei 5S di chiudere gli occhi sulla valanga di truffe pur di difendere il Superbonus dall'altro, segnano probabilmente la fine di un'epoca. Non solo per quanto riguarda i 5S ma per l'intera visione della politica della quale i 5S sono stati massima e più esplicita espressione e che ha contribuito più di qualsiasi altro elemento a tenere il Paese immobile per tre decenni.