Peggio di tutti la ha presa Bruno Vespa: c'è la possibilità, anzi, che il conduttore che sfida il tempo sia l'unico a averla presa davvero male. Lo si deve capire. Per la seconda volta, dopo il confronto fatto saltare dall'Agcom tra Letta e Meloni nella campagna elettorale del 2022, si è visto scippare all'ultimo momento l'evento clou della campagna e probabilmente dell'intera annata televisiva. Impossibile prenderla con filosofia.

Le due sfidanti, Giorgia ed Elly, pare siano rimaste in realtà molto meno contrariate, almeno nel segreto dei loro uffici. Per Meloni lo scontro diretto era un rischio senza posta che valesse la candela. Se ne fosse uscita contro ogni pronostico male sarebbe stato un fatto incisivo, come quando nella campagna referendaria sulla riforma di Renzi l'anziano De Mita sbaragliò il giovane e gagliardo allora premier. La vittoria, in compenso, non le avrebbe portato un voto. Tirarsi indietro, dopo aver lanciato il guanto della sfida non poteva ma è andata come è andata e meglio così. Elly giura di essere delusa ma c'è chi assicura che invece ha tirato un sospirone di sollievo. L'incontro era ad alto rischio.

Quel match non ci sarà ma la sua cancellazione ha rivelato molto più e a proposito di molti più leader di quanto avrebbe fatto la sua celebrazione. Se c'erano dubbi su quale ostacolo continui a restringere il campo che il Pd vorrebbe largo la vicenda, e soprattutto i commenti successivi al pollice verso dell'AgCom li ha dissipati. Giuseppe Conte è stato il vero artefice del sabotaggio, del resto con argomenti effettivamente inoppugnabili trattandosi di elezioni proprozionali nelle quali una sfida tra le due leader dei partiti maggiori non solo non avrebbe avuto senso ma avrebbe sbilanciato di molto la campagna elettorale. Ma Conte non si è limitato a una comprensibile protesta. Un attimo dopo il verdetto dell'AgCom si è affrettato a lanciare lui la sfida alzando i decibel quanto più possibile: «Cosa fai adesso Giorgia? Ti tiri indietro rispetto al confronto con me e con tutti gli altri leader?». Traduzione: «Il vero confronto è con me anche se ci sono gli altri». Il senso politico è chiaro: se il Pd e la sua leader si illudono che qualche punto percentuale in più obblighi il M5S e il suo capo ad accettarne la leadership vuol dire che non hanno capito niente. La risposta di Schlein è altrettanto chiara: «Ho sempre detto di essere pronta a confrontarmi con Giorgia Meloni ovunque e in qualsiasi momento» . Traduzione: il confronto resta tra noi, tutti gli altri a partire da Conte neppure vale la pena di nominarli. Il significato politico è secco: se Conte immagina che io rinunci alla leadership dell'opposizione è segno che proprio non ha capito niente. In conclusione il match c'è stato, ma tra Schlein e Conte e il fatto basta di per sé a chiarire che l'allargamento del Campo non è affatto a portata di mano. C'è un problemino di mezzo.

Elly può contare su Giorgia, perché la premier come rivale vuole lei e non il più insidioso Conte. Quindi interviene anche lei, pur se indirettamente. La risposta di FdI alla proposta dell'avvocato del popolo è pienamente al livello delle precedenti battute: «FdI conferma la disponibilità al confronto attraverso i propri rappresentanti politici senza far perdere ulteriore tempo al presidente del Consiglio». Finché era una partita a due si poteva fare, col mucchione e con Conte è solo «una perdita di tempo». Per dirla con buona grazia.

Nella conta Tajani è stato determinante. L'Ag-Com, si sa, aveva delegato la scelta agli 8 leader dei partiti già presenti nel Parlamento europeo. Con la maggioranza a favore il confronto diretto si sarebbe fatto, senza no. È finita quattro a quattro perché Tajani si è espresso contro. I tempi di Forza Italia ancillare sono finiti. Il nuovo leader azzurro si muove ora con l'autorità di chi si sente il vento in poppa e in questi casi, si sa, solo il cielo è il limite. Alessandra Mussolini, intervistata dal Qn lo dice senza perifrasi. Le chiedono se il leader ha numeri e carte per fare il presidente della Commissione europea. Risponde che ne ha in abbondanza per qualsiasi carica: «Anche per fare il presidente del Consiglio». Il pregio della sincerità.

Il voto di Tajani ha controbilanciato quello di Renzi, che invece era stato a favore del faccia a faccia. Voto strano, dal momento che Riccardo Magi, in cartello con Renzi per gli Stati uniti d'Europa, è stato invece tra i più solerti e fragorosi nell'applaudire la decisione dell'AgCom. Insomma Renzi ha forzato la mano, un bel po' a sorpresa, e forse un indizio in materia di strategia politica c'è anche qui.

L'ex premier ha salvato il governo nel voto sul Superbonus, poi ha spalleggiato la premier nella molto meno rilevante ma anche molto più vistosa pochade del match da Vespa. Tanto per chiarire che lui non ha obblighi d'opposizione e decide di volta in volta cosa fare. Tanto per farlo sapere a tutti e a ciascuna.