Uno, ics, due. Se sulla partita di oggi al Senato tra Giuseppe Conte e Mario Draghi si potesse scommettere come al Totocalcio chiunque punterebbe sulla tripla. Troppo grande l’azzardo per puntare su un risultato secco. Gli esiti sono ancora tutti possibili, il Movimento 5 Stelle non ha davvero ancora deciso come comportarsi in Aula. E anche se alcuni scenari appaiono più plausibili di altri, i grillini decideranno solo dopo aver sentito il discorso di Draghi. In base alle aperture, alle allusioni o alle chiusure i pentastellati moduleranno la loro risposta. Che può spaziare dalla fiducia incondizionata con tanto di “ritorno” pacifico nel perimetro della maggioranza, al sì ma con ritiro dei ministri e dunque all’appoggio esterno, fino al no secco con conseguente passaggio ai banchi dell’opposizione. Quest’ultima opzione, bisogna rilevare, è attualmente la meno probabile. Lo si capisce dall’ottimismo che trapela dal Pd, ma anche del tono disteso con cui alcune “colombe” pentastellate accolgono l’evolversi della situazione. «Hanno fatto tutto questo casino per nulla», dice un deputato vicino al capogruppo Davide Crippa. «Era chiaro che Conte non avrebbe retto la tensione e sarebbe tornato sui suoi passi», aggiunge.

Ma che lo strappo possa essere ancora ricucito, almeno per salvare l’alleanza col Pd, lo si capisce anche dal mutato atteggiamento dei seguaci dell’ex premier. «Credo che alla fine prevarrà l’orientamento di votare sì alla fiducia», dice cautamente una fonte di rito contiano, «ma tutto dipende davvero dalle parole di Draghi», aggiunge, concedendo aperture impensabili solo poche ore prima.

I nove punti dell’agenda grillina sono sempre sul tavolo del premier, ma al Movimento basterebbe molto meno per ingranare la retromarcia e tornare a bordo: una rassicurazione chiara sul superbonus sarebbe sufficiente ad allontanare le urne e ricomporre la pochette di Conte, un po’ sgualcita durante i giorni delle barricate. Se poi Draghi volesse pure nominare il salario minimo (va bene anche la forma sbiadita concepita dal ministro Andrea Orlando a questo punto) e accennare alla transizione ecologica (è accettabile anche una semplice dichiarazione di principio), il leader 5S tirerebbe un sospiro di sollievo e proverebbe subito a convincere i senatori a deporre le armi e sostenere il governo. Sono questi i segnali che l’avvocato aspetta e in cui confida per chiudere definitivamente la crisi, almeno per quanto riguarda il suo partito. Ma un conto è portare gli ortodossi su una posizione non ostile nei confronti del governo, altro trasformare in poche ore i falchi in colombe. E i senatori, pur disponibili alla girovolta, potrebbero non essere disposti a un’abiura così repentina e radicale, pretendendo quantomeno la “testa” dei ministri al “servizio” di Draghi. Così il regolamento di conti interno sarebbe compiuto e la faccia “radicale” del partito verrebbe in qualche modo riservata. E con i grillini nel perimetro della maggioranza, pur se attraverso un appoggio esterno, potrebbe dirsi soddisfatto anche Enrico Letta. Il campo largo resterebbe in piedi e con lui le speranze di competere alle prossimi elezioni col centrodestra. Un sì del Movimento a Draghi, ma senza più delegazione a palazzo Chigi, infine, toglierebbe anche le castagne dal fuoco a Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, liberi di rimanere al governo, senza dover rinunciare alle condizioni poste per proseguire la legislatura: sostegno al premier a patto di non dover più condividere un Consiglio dei ministri con i Cinque stelle.

Certo, Conte preferirebbe ritornare a pieno titolo tra le forze dell’esecutivo e spera ancora nel lavoro di mediazione di Letta per raggiungere l’obiettivo, ma è probabile che dovrà “accontentarsi” di trasformarsi in “junior partner” del draghismo.

Sempre che Draghi sia davvero disposto a rimanere in sella in balia delle richieste delle forze politiche (non solo del M5S). Se così non fosse il presidente del Consiglio eviterà accuratamente di concedere qualche contentino ai grillini durante il suo intervento per lanciare un messaggio inequivocabile anche alla Lega. Solo in questo caso Conte sarebbe costretto suo malgrado a negare la fiducia all’esecutivo, facendo precipitare la situazione. E così, una crisi aperta in maniera quasi inconsapevole dal leader M5S si risolverebbe con ogni probabilità con lo scioglimento anticipato delle Camere. Per l’avvocato, che sperava solo di recuperare un po’ di consensi dai banchi dell’opposizione da qui alla fine della legislatura, sarebbe l’esito meno auspicabile. E non c’è dubbio che impiegherà ogni sua forza per evitarlo. Whatever it takes...