Proviamo a ricostruire i fatti dell’«affaire Djokovic». Djokovic è atterrato a Melbourne, Tullamarine Airport, verso le 23.30 locali (le 13.30 italiane) di mercoledì 5 gennaio, dopo un volo di quindici ore da Dubai, per partecipare agli Australian Open, il primo dei quattro tornei annuali di tennis del Grande Slam, che si tiene ogni anno a Melbourne, e che Djokovic ha già vinto nove volte nella sua carriera, tra cui le ultime tre edizioni. È stato trattenuto per diverse ore all’aeroporto prima che l'Australian Border Force – l’agenzia governativa responsabile per il controllo alle frontiere, le indagini, la conformità dei requisiti di ingresso in Australia – annunciasse che la documentazione per giustificare l'esenzione dal vaccino fosse insufficiente. Le attuali regole per i cittadini stranieri che entrano in Australia dicono che devono essere vaccinati per Covid-19 o devono avere un'esenzione medica valida. L'Australian Border Force non accetta che aver contratto il Covid in precedenza, anche negli ultimi sei mesi, si consideri come un'esenzione valida per non essere vaccinati. L'Australian Technical Advisory Group on Immunisation (diciamo: il Comitato tecnico-scientifico che supporta le decisioni del governo), in una nota del 14 dicembre 2021, afferma che due dosi di un vaccino «sono ancora necessarie per essere considerati completamente vaccinati». A Novak Djokovic era stato concesso un visto intorno a novembre, e la stessa star del tennis ha fatto un post su Instagram confermando che gli era stato concesso un "permesso di esenzione" per giocare a Melbourne. Ora, è evidente che l’applicazione della normativa da parte dell’ABF va a collidere con quella di Tennis Australia, che collabora con il governo dello Stato di Victoria per la realizzazione degli Australian Open il cui tabellone principale partirà il 17 gennaio. Tennis Australia avrebbe concesso l’esenzione medica a Djokovic sulla base di una sua infezione da Covid-19 nei sei mesi precedenti, infezione della quale il mondo del tennis e dello sport non sapeva nulla. C’è stata evidentemente un’incomprensione, diciamo così, tra Tennis Australia, Governo dello Stato di Victoria e ATAGI. Il problema è che il governo federale ha comunicato a Tennis Australia per iscritto, e in più circostanze, che non avrebbe accettato questo tipo di esenzione. Però, sembra che altri atleti che hanno ottenuto l’esenzione hanno potuto superare il confine e entrare in Australia. Per questo motivo Djokovic ha presentato ricorso contro l’inevitabile, a quel punto, espulsione dal paese: gli avvocati del giocatore serbo hanno tempo fino alle 14 di sabato (le 4 del mattino in Italia) per portare prove sufficienti. Entro le ore 20 locali di domenica lo staff del ministro degli Esteri Karen Andrews sarà chiamato a fare lo stesso per giustificare la decisione di aver negato l’accesso a Novak. La corte tornerà a riunirsi lunedì 10 gennaio alle ore 10, quando mancherà una settimana al via dell’Australian Open. Intanto, il ministro Andrews ha concesso a Djokovic di restare temporaneamente in Australia, nell’hotel-quarantena (Park Hotel di Carlton), quello dei rifugiati e dei richiedenti asilo, dove si sono raggruppati alcuni suoi tifosi con bandiere serbe e cartelli. Lunedì, forse, potremo mettere veramente la parola fine su questa incredibile storia. Che era iniziata già prima che Djokovic atterrasse a Merlbourne. Nell'aprile 2020 Djokovic dichiarò di essere "contrario alla vaccinazione". E disse: «Non vorrei essere costretto da qualcuno a prendere un vaccino per poter viaggiare». Ma se diventa obbligatorio, cosa accadrà? – gli chiesero. E lui: «Dovrò prendere una decisione». Quasi a rispondergli, il premier australiano Morrison aveva avvertito pochi giorni fa: «Chiunque entri in Australia deve avere i requisiti. Quando Djokovic arriverà, credo non manchi molto, dovrebbe fornire una spiegazione plausibile, se non fosse vaccinato. Aspettiamo e vediamo quali elementi fornisce. Se la documentazione fosse insufficiente, verrebbe trattato come tutti gli altri e verrebbe rimesso sul primo aereo. Non ci sono regole speciali per Novak Djokovic». L’affaire ha assunto subito una dimensione diplomatica, tra la Serbia e l’Australia – benché il premier Morrison si sia affrettato a dichiarare che non esisteva una questione con la Serbia, con cui esistono consolidate relazioni, il presidente della Serbia, Aleksandar Vucic, ha dato subito tutta la solidarietà a Djokovic: «Ho detto al nostro Novak che tutta la Serbia è con lui. In linea con tutte le norme del diritto internazionale, la Serbia combatterà per Novak, per la verità e la giustizia». Vucic ha parlato apertamente di “caccia alle streghe”. E nelle parole del padre di Djokovic ha assunto anche una dimensione politica, parlando con i media russi: «È diventato il simbolo e il leader del mondo libero, un mondo di nazioni e persone povere e oppresse. Potranno incarcerarlo stasera, incatenarlo domani, ma Novak è lo Spartacus del nuovo mondo che non tollera l’ingiustizia, il colonialismo e l'ipocrisia». In realtà, il “mondo libero” si è molto diviso su tutta questa storia: l’atteggiamento “sospettoso” di Djokovic sulla vaccinazione può anche trovare comprensione almeno in una quota di persone – lui peraltro, dopo l’intervento al gomito, segue da anni un rigido protocollo “naturista” –, mentre in altre che, come in Australia dove c’è un protocollo molto rigido, hanno una libertà di movimento limitata, proprio no; ma risulta invece insopportabile che possa usufruire di un corridoio privilegiato di esenzioni, solo perché ricco e famoso, e solo perché il business dell’Australian Open non può fare a meno del n. 1 del ranking mondiale del tennis, anche perché chi ama il tennis non può fare a meno di aspettare a veder giocare il n. 1 del ranking mondiale del tennis. Non credo che Novak voglia diventare un simbolo mondiale no-vax – è una persona intelligente, attenta al business come alla simpatia sociale, ed è anche generoso: ad aprile 2020 aveva donato un milione di euro agli ospedali di Treviglio che erano ancora nella tempesta del contagio. Ma di fatto questa vicenda, proprio per la sua popolarità che ne ha fatto una “chiacchiera globale”, è andata precipitando in una contraddizione lacerante che il contagio e le misure per farvi fronte hanno configurato drammaticamente: da una parte le scelte individuali, dall’altra le scelte “pubbliche”, dello Stato; da una parte Djokovic – che è un campione, anzi il n. 1, una sorta di “superuomo” – e dall’altra la regola di “uno vale uno”. Le mediazioni sono saltate, le “esenzioni” non sono più possibili, mettere a sottacere le cose, ipocritamente, non è più possibile – proprio perché Djokovic è una figura “pubblica”, enorme nella sua popolarità globale, qualcuno che può “mettersi a petto” di un governo: quanti, nel mondo, sapevano fino a ieri il nome del primo ministro australiano e quanti quello di Djokovic? Djokovic non è un filosofo, non è un giurista, non è un esperto di media, non è un virologo, non è un epidemiologo. Le sue argomentazioni non sono in punta di diritto o di qualche dato scientifico ma di racchetta: lui corre sulla terra rossa o sull’erba. Ma non è neppure “l’uomo qualunque”; come ha detto un tennista di medio livello: «Fossi stato io, mi avrebbero già impacchettato su un aereo e rispedito a casa». D’altronde, è proprio perché è Djokovic che è scoppiato un affaire. Djokovic versus Australia – lunedì si gioca l’ultimo set, finora ci sono state eliminatorie e quarti di finale. Un campione e uno Stato; un individuo e la cosa pubblica, il “bene pubblico”. Io non credo possano esserci dubbi, per il tempo che attraversiamo, su chi ne uscirà vincente. Solo che, probabilmente, avremo perso tutti.