«Mi dispiace che il presidente Macron cerchi di strumentalizzare una questione interna del Brasile e di altri Paesi amazzonici per vantaggi politici personali. Il tono sensazionalista con cui si riferisce all'Amazzonia non fa nulla per risolvere il problema. Il governo brasiliano rimane aperto al dialogo, basato su dati oggettivi e rispetto reciproco. Il suggerimento del presidente francese di discutere le questioni amazzoniche al G7 senza la partecipazione dei Paesi della regione evoca una mentalità colonialista fuori luogo nel 21esimo secolo».

Il presidente brasiliano Bolsonaro risponde con rabbia all'iniziativa del presidente francese. Il dato vero è che l'Amazzonia, e con essa il più grande polmone verde del pianeta, sta bruciando. Il mondo comincia a preoccuparsi e interviene anche l'Onu.

Lunedì scorso per la città metropolitana di San Paolo in Brasile, è stato un giorno di black out, ma non si è trattato di un’improvvisa cessazione dell’erogazione di energia elettrica bensì un oscuramento avvenuto in pieno giorno. Alle ore 16, ben prima del tramonto come riportano le cronache, il cielo è diventato nero e sulla città è calato il buio.

A 2700 chilometri di distanza l’Amazzonia stava bruciando. I fumi levatisi dalla foresta pluviale in fiamme hanno coperto il cielo, spargendo il proprio manto plumbeo. Si è trattato di un evento di proporzioni enormi ma non di un caso isolato. La Bbc ha riferito un dato che fornisce il segno della gravità della situazione. Rispetto all’anno passato gli incendi, almeno quelli rilevati, sono aumentati dell’ 84%.

Un record confermato anche dall’Inpe, l’Agenzia spaziale brasiliana. Il dato pubblicato racconta una realtà che potrebbe portare a conseguenze non rimediabili. Solo in quest’ultima settimana i roghi sono stati 9500, facendo lievitare il totale a 72000 se si comincia a contare dal mese di gennaio. La rapidità con cui si propaga il fenomeno, deve essere messa in relazione anche con il fatto che le rilevazioni sono iniziate solo nel 2013.

Ma ciò che è successo a San Paolo potrebbe costituire un punto di non ritorno anche dal punto di vista politico. Ad essere messa sotto accusa è la politica nei confronti dell’ambiente del presidente Jair Bolsonaro ed el suo governo.

Solo pochi giorni fa era stato allontanato dalla sua carica, Ricardo Galvao, direttore dell’Inpe che aveva accusato proprio Bolsonaro di «comportarsi come in un bar» Mercoledì in occasione della “Settimana climatica latinoamericana e caraibica”, conferenza, organizzata dalle Nazioni Unite, il ministro dell’Ambiente Salles è stato sonoramente fischiato dalla platea. Segno forse che l’opinione pubblica brasiliana sta cambiando idea sulla destra al potere.

D’altro canto anche le stesse spiegazioni di Bolsonaro sulle cause degli incendi hanno lasciato interdetti. Ha infatti incolpato le ong per aver acceso gli incendi come vendetta contro il taglio dei finanziamenti operato dal suo governo. In realtà la politica sviluppista e di consumo del suolo è stata un cavallo di battaglia durante la campagna elettorale dello scorso anno.

E’ stata infatti incoraggiata la bonifica di terreni da parte di taglialegna e agricoltori, accelerando così la deforestazione della foresta pluviale amazzonica. I dati indicano che si sta andando in questa direzione a ritmo accelerato: soltanto il mese scorso sono stati distrutti 2.253 km quadrati di vegetazione.