«È vitale prendere coscienza del passaggio epocale in cui ci troviamo. È fondamentale soprattutto che lo facciano rapidamente istituzioni e imprenditori. L'Italia fa comunque parte dei sette Paesi più industrializzati del pianeta e perciò deve, per la salvaguardia del nostro tessuto imprenditoriale, favorire l'aggregazione di imprese, nelle forme più diverse, sempre a difesa del talento».

La transizione da un modello di economia chiusa all'Open innovation, di cui l'attuale crisi sanitaria per la pandemia di Covid ha drammaticamente evidenziato la necessità, è al centro del nuovo libro del saggista, scrittore ed editorialista Leonardo Valle, Open innovation. Oltre la crisi: una casa comune per la nuova economia( Lab DFG), già autore, per la stessa casa editrice, di Advanced advisory. Da Adriano Olivetti ad Alain Deneault, dal progresso intelligente alla lotta contro la mediocrazia. La forza delle nuove competenze.

Valle, la crisi innescata dalla pandemia di Covid- 19 potrebbe rappresentare l'opportunità per un cambiamento radicale, per ripensare le modalità di innovazione?

La crisi da Covid- 19 deve diventare l’opportunità per ripensare le modalità di innovazione e gli strumenti ce li abbiamo già a portata di mano. Come dico in Open Innovation, dobbiamo solo trovare la voglia di utilizzarli in modo diverso rispetto al passato. È fondamentale, perché ciò accada, che i saperi vengano condivisi, che si creino network che mettano in contatto professionisti del mondo del lavoro e delle università. L’epoca dei brevetti e dei segreti industriali frutto del lavoro di singole imprese è finita, la parola d’ordine deve essere “condivisione”: di saperi, di strategie, di forza lavoro, di risultati raggiunti sommando le competenze di aziende diverse. Dobbiamo guardare verso un obiettivo ambizioso, la crescita di ecosistemi, oltre che della singola azienda, ed evitare soprattutto la cannibalizzazione delle nostre aziende da parte di gruppi stranieri, come purtroppo accade con sempre maggiore frequenza.

Cosa si intende per Open innovation e quali sono le principali realtà e figure professionali che ne sono coinvolte?

Le imprese, implementando la Open innovation, acquisiscono velocemente tecnologie dall’esterno piuttosto che svilupparle internamente a costi altissimi. In tal modo, lo sbocco verso nuovi mercati diventa possibile indipendentemente dalla dimensione dell’azienda. Assume valore pari a zero, in questo contesto, se un progetto di ricerca nasca all’interno dell’azienda per poi essere sviluppato all’esterno o se, invece, abbia origine al di fuori del contesto aziendale per poi essere inglobato nel core business di riferimento.

Quello degli Open Innovation è un processo ancora in corso: si tratta in sintesi di una filosofia nuova che introduce come approccio strategico e culturale il concetto di “apertura”, che comprende sia idee e risorse interne che soluzioni, strumenti e competenze tecnologiche che arrivano dall’esterno. Start up e Pmi, soprattutto in Italia dove queste ultime sono più diffuse, devono necessariamente avvalersi di queste nuove possibilità: il talento sarà alla base dello sviluppo delle realtà più moderne – che sono poi quelle digitali – che potranno così farsi conoscere a livello globale.

L’open innovation deve essere inteso come una grande agorà fisica e virtuale, dove si incontrano università, istituti di ricerca, associazioni industriali e di categoria, studenti e imprenditori, ognuno con il proprio bagaglio di competenze e idee da condividere con l’altro, tramite hackathon e “call for ideas”, per esempio.

Per quali motivi il vecchio modello di Closed innovation è entrato in crisi?

Il mondo cambia a una velocità incredibile. Quello che ieri era fantascienza oggi è scienza. L’innovazione non segue un senso unico, non sgorga dal punto A per arrivare giocoforza al punto B. Si muove, cambia, copre punti dalla A alla Z. La Closed Innovation semplicemente non rispondeva più alle necessità degli uomini e delle donne entrati ormai nella Quarta rivoluzione industriale. Il paradigma della Closed innovation sostiene che un’azienda debba competere sul mercato affidandosi solo alle proprie risorse, che ritiene migliori.

A tenerli sull’attenti è la paura di perdere informazioni importanti a favore della concorrenza, non la tensione all’innovazione.

Il mondo del lavoro digitale globale oggi non premia più chi vuole restare chiuso nella propria “comfort zone”.

Da dove potrebbero venire le resistenze e quali rischi si profilerebbero di fronte all'Open innovation?

Credo che l’unico vero ostacolo agli open innovation sia la paura della novità. Può essere sia di matrice culturale, come l’incapacità di fare networking o il non saper creare e condividere conoscenze tra reparti aziendali e verso l’esterno; sia strutturali, come la resistenza ai cambiamenti che ostacola la riorganizzazione del lavoro necessaria a realizzare co- innovazione. In ogni caso, questi ostacoli si superano grazie all’informazione e alla formazione.

Quali Regioni italiane hanno finora messo a punto proposte di legge che regolino gli Open innovation center?

La Regione Lazio, ad esempio, che grazie alla lungimiranza del Consigliere regionale Enrico Forte ha presentato una mozione che non solo vada a finanziare ma anche a regolamentare gli Open Innovation Center sul territorio.

Professionisti e amministratori che sostengono il Vinacci Think Tank stanno mettendo a punto un’idea di Open Innovation Network da suggerire alla pubblica amministrazione, in cui i territori ripartano dalle proprie eccellenze al fine di unire le forze ed eliminare il fattore concorrenza.

Sono convinto che solo chi saprà immaginare il mondo del lavoro tra cinque o dieci anni sarà in grado di cavalcare l’onda epocale del cambiamento.

Mi rivolgo in particolare ai giovani, che devono saper indirizzare quanto prima le loro risorse e il loro talento.

L’ERA DELLA CONDIVISIONE

«BISOGNA CREARE NETWORK DI PROFESSIONISTI DEL MONDO DEL LAVORO E DELLE UNIVERSITÀ. L’EPOCA DEI BREVETTI E DEI SEGRETI INDUSTRIALI È FINITA, LA PAROLA D’ORDINE DEVE ESSERE “CONDIVISIONE”: DI STRATEGIE, DI FORZA LAVORO, DI INNOVAZIONE E RISULTATI »