Luciano Violante ha vestito la toga di magistrato. Quindi ha assunto una tra le più alte cariche dello Stato: ha presieduto la Camera. È tuttora fra i protagonisti della scena pubblica che meglio comprendono i danni del circolo vizioso fra giustizia, informazione e politica. Davanti al decreto sulla presunzione d’innocenza, appena “benedetto” dal Parlamento con poche modifiche, segnala due cose: primo, «quando si fa un cattivo uso della libertà, nella specie di informare, è inevitabile che arrivi una stretta». Dunque alcuni pm e certi giornali meritavano norme più stringenti. Secondo, «adesso serve un’intesa fra i mezzi di comunicazione, un patto che ridefinisca i limiti dell’informazione giudiziaria e che porti a rispettare la dignità delle persone».

Altrimenti il decreto sulla presunzione d’innocenza non cambierà le cose?

Aspetti. Intanto la direttiva Ue è un po’ distonica rispetto a quanto previsto dall’ordinamento italiano e dalla nostra stessa Costituzione: il testo europeo si riferisce alla presunzione d’innocenza, l’articolo 27 della nostra Carta parla di presunzione di non colpevolezza. Sono cose un po’ diverse. In teoria noi distinguiamo fra la colpevolezza formalmente ancora non accertata e le responsabilità che possono emergere anche prima di una condanna definitiva. D’altra parte la cronaca giudiziaria, in Italia, è andata ben oltre tali sottili distinzioni.

Cosa intende dire?

Ricorda la sottosegretaria Guidi, dileggiata per le frasi al telefono sulla colf guatemalteca? Ecco, un circuito dell’informazione che ha colpe così gravi ha poco da star lì a disquisire sulla congruità di una direttiva europea.

Sono colpevoli sia i pm che violano i doveri di riserbo sia i cronisti che ne approfittano?

Ci sono magistrati che hanno responsabilità anche rilevanti. E ne ha la stampa, ma è chiaro che si deve fare i conti con un mercato e una concorrenza spietati. Ecco perché serve un accordo e un cambio di registro concordato nel sistema della comunicazione.

Torniamo al punto: lei ha l’impressione che il decreto risolverà poco?

Faccio notare un paradosso: chi non è accusato non è tutelato. Se sono chiamato in causa a proposito di un’indagine ma non sono indagato, la mia dignità non è tutelata. Se mi attribuiscono delle responsabilità, posso stare tranquillo. Paradossale, credo.

Sono norme troppo restrittive, rispetto al diritto di informare e di essere informati?

Quando si fa un cattivo uso della libertà è inevitabile che ci sia una stretta. Ma ripeto: non teniamo la stampa fuori dal discorso. Voi giornalisti avete concordemente smesso di fare i nomi delle ragazze vittime di violenza sessuale: perché non si può adottare un maggiore self restraint sulle persone indagate?

Già le norme preesistenti all’ultimo decreto prevedono che la Procura non debba indicare il nome del magistrato titolare di un’indagine, e che il singolo pm non debba parlare alla stampa se non autorizzato dal procuratore, con relativi meccanismi di controllo disciplinare. Com’è possibile che in tanti anni di inchieste mediatiche non ci sia mai stato un pm perseguito?

Ma neanche nei confronti dei giornalisti, però, è mai scattata una censura da parte degli organi di disciplina interna, o sbaglio?

Non sbaglia, è verissimo.

Ecco, perciò ribadisco che o c’è un’intesa nel sistema dell’informazione o il nodo resta. Ciò detto, se è certamente vero che già le norme del 2006 vietano di dare nomi e foto del singolo pm, è vero che, se vengono pubblicati, quel magistrato comincia a essere importante e rispettato. Persino dal portiere, che si toglie il cappello quando lo vede passare. E si crea una carriera parallela a quella professionale, a volte più prestigiosa e a volte presupposto per l’altra. E poi colpisce a volte una coincidenza.

Quale coincidenza?

Se per caso l’indagine di quel tale pm comincia a perdere d’interesse e attenzione, salta fuori a volte la notizia che nei suoi confronti è stato sventato un attentato. L’indagine riprende quota.

Il silenzio degli organi disciplinari nei confronti di quei pm troppo mediatici hanno la stessa matrice “corporativa” delle valutazioni di professionalità positive per il 99% delle toghe?

In molti casi magistrati con condanne definitive nel corso della vita professionale precedente hanno avuto brillanti valutazioni. Il sistema delle valutazioni professionali va ridiscusso con calma ma approfonditamente. Ci sorprendiamo delle mancate sanzioni per i rapporti con la stampa? Non avviene lo stesso nel mondo giornalistico?

Verissimo anche questo.

Va detto che la condanna di Sarkozy, per fare un esempio, è stata accolta dai media francesi con esuberanze incomparabilmente più contenute rispetto a quanto sarebbe potuto avvenire in un Paese come il nostro. Altrove non c’è la stessa pruderie.

Ma qualcosa cambierà oppure no?

Bisogna vedere come garantire il diritto alla reputazione nella società della comunicazione.

Non basta il decreto sulla presunzione d’innocenza, dunque?

Guardi, un magistrato molto preparato, che conosco, mi ha detto: ti rendi conto che ci troveremo a dover scrivere nelle ordinanze di convalida che un rapinatore è presuntivamente entrato in una gioielleria, che ha presuntivamente sparato al gioielliere, che ha presuntivamente preso degli ori dall’espositore... fa ridere. Se non ci fossero elementi di colpevolezza, gli arresti in flagranza non sarebbero eseguiti. Intendo solo sottolineare che il diritto alla dignità è spesso leso dalle cronache giudiziarie. Così com’è vero che se il poliziotto o il magistrato non vi desse la notizia, voi non la pubblichereste. E se voi non la pubblicaste, quel poliziotto o quel pm non acquisirebbero importanza e visibilità pubblica.

In attesa che anche i giornalisti battano un colpo, crede che la crisi di autorevolezza in cui si dibatte la magistratura possa indurre risposte sanzionatorie interne più severe nei confronti di chi viola le norme sui rapporti con la stampa?

Questa risposta probabilmente ci sarà. Temo però solo sul versante della magistratura e non per i giornalisti. Anche se qualora gli uffici giudiziari diventassero più sobri, sareste costretti a esserlo anche voi.