Chiacchiericcio, uccellini che cantano, il vociare di alcuni bambini in sottofondo. Quando Luca Lotti risponde al telefono si scusa per non averlo fatto prima, ma, dice, «ho avuto bisogno di staccare per godermi i miei figli». Poi ci dedica mezz’ora in cui ripercorre sette anni di processo «strano e assurdo», fa le pulci al Pd che «o è garantista o non è» e non chiude del tutto a un ritorno in politica. «Quello che sarà il futuro si vedrà», commenta, «ma non ho bramosia di incarichi».

Come ha vissuto gli ultimi sette anni e mezzo, prima dell’assoluzione?

Sette anni e mezzo sono lunghi per qualsiasi cosa, figurarsi per un processo. Tutto nasce nel dicembre 2016: da sottosegretario divento ministro e sette giorni dopo il giuramento nasce l’inchiesta che, di per sé, è piuttosto assurda. Mi ritrovo infatti accusato di due reati, cioè favoreggiamento e rivelazione, che sono “strani”. Nel senso che mi si accusa di aver rivelato qualcosa che non è competenza del mio ufficio e di aver favorito uno che non era indagato. Alla stranezza di tutto ciò si aggiunge il fatto che due anni dopo, nel 2018, ritrovo al fianco, nello stesso processo, quelli che hanno fatto le indagini, accusati di falso e altri reati. Ora loro sono stati condannati, io assolto.

Cosa ha provato nel momento in cui si è reso conto dell’indagine? Ha pensato qualcosa del tipo “mi hanno fregato”?

In quei momenti non ti rendi conto di nulla. Peraltro non ho mai ricevuto un avviso di garanzia. Ho ricevuto solo una chiamata dal Fatto quotidiano il 21 dicembre in cui mi davano notizia dell’indagine e il giorno dopo mi sono presentato di mia spontanea volontà per chiarire tutto. E pensavo che finisse così. Ma dal giorno dopo mi sono accorto che l’obiettivo non era colpire me, ma distruggere una storia politica. Volevano smontare anni di governo che legittimamente possono essere contestati, ma non opponendo alla politica le inchieste giudiziarie.

Subito dopo si è susseguita una mozione di sfiducia, poi due elezioni politiche, il litigio con Letta: cosa le è rimasto di quegli anni?

Ho affrontato la mozione di sfiducia in Parlamento a testa alta e ho fatto il ministro per un anno e mezzo, da indagato, facendo quello che credevo fosse giusto per lo sport nel nostro Paese. Poi ci sono state le elezioni politiche del 2018 ma la seconda legislatura l’ho vissuta in maniera più pesante perché soffrivo il rinvio a giudizio e il processo stesso, fino ad arrivare alla non ricandidatura con Letta.

Arriviamo anche a quello, prima però mi dica: quando ha capito che forse il castello di carte si stava smontando?

Non ho mai saputo come sarebbe andata a finire fino all’una e mezzo dell’undici marzo, quando sono stato assolto. Ma da quando le udienze cominciavano a diradarsi ho capito che nessuno ci credeva più, in primis i pm. D’altronde ho partecipato a tutte le udienze, compresa quella fissata nel giorno della rielezione di Mattarella. Tuttavia il mio timore era quello di vedere la prescrizione portare via tutto. È stata la presidente del tribunale, la dottoressa Roia, a dare un’enorme lezione a tutti. Anziché dichiarare il reato prescritto ha comunque emesso sentenza. Poteva tranquillamente dichiarare prescritto il reato e finiva lì, e invece ha voluto comunque dichiarare l’assoluzione. Un fatto che mi ha colpito molto.

Crede anche lei, come molti, che la sua vicenda, così come tante altre che si sono susseguite in questi anni, faccia parte della cosiddetta “guerra dei trent’anni” tra magistratura e politica?

Il tema del rapporto tra politica e magistratura è molto largo e vorrei affrontarlo seguendo due tronconi diversi. Il primo: che ci debba essere un confronto tra politica e magistratura lo dice la Costituzione. D’altronde il Csm per una parte è composto da laici eletti dal Parlamento. È vero, come ho detto, che la vicenda dell’hotel Champagne non ci sarebbe stata se non ci fosse stato il caso Consip, ma è altrettanto vero che avrei comunque parlato con dei magistrati così come lo fanno oggi tanti miei colleghi, prima, durante, o dopo cena. Che i politici facciano delle scelte per le nomine dei procuratori, tramite le persone che sono nel Csm, è palese. Il secondo: non so se esista o sia esistita una guerra tra politica e magistratura ma un conto è che i magistrati aiutino a fare le leggi, altro conto è se si pensa di far fuori degli avversari politici tramite i magistrati.

Che ruolo ha la Magistratura in tutto questo?

I magistrati devono rendersi conto che quando fanno un’inchiesta hanno un grande potere mediatico. Quando si indaga su un ministro potenzialmente si possono cambiare le sorti di un governo, e questo non vuol dire che non lo devono fare ma che devono avere maggiore attenzione. Non si può dire, come fa Rosy Bindi, che le inchieste sui politici devono essere fatte più in fretta. I politici hanno gli stessi diritti dei cittadini: io da un giorno all’altro mi sono visto crollare il mondo addosso salvo essere considerato innocente dopo sette anni, cosa che succede ad esempio a molti imprenditori che finiscono sul lastrico e poi faticano a ripartire, magari dopo anni di calvario giudiziario.

A proposito di calvario, come ha vissuto dal punto di vista personale la vicenda che l’ha coinvolto?

Ricordo che in quei giorni mi colpì in negativo non tanto la mozione di sfiducia in Parlamento dei Cinque Stelle quanto il fatto che alcuni membri del mio partito, prima ancora di capire di cosa fossi accusato, si siano affrettati a chiedere un mio passo di lato. Tutta gente, tra l’altro, che non si è fatta sentire nemmeno due settimane fa, quando è finito tutto.

Pensa che il Pd sia ancora quel partito che faceva del garantismo uno dei suoi punti fermi, almeno all’inizio del proprio percorso politico?

Tanti colleghi mi hanno sostenuto, ma il problema è che un partito che si definisce democratico, che ha sempre fatto del garantismo uno dei suoi capisaldi e che si ispira a quella Costituzione frutto della Resistenza, non può non essere garantista, e non solo a favore dei propri membri, ma con tutti. In questi anni mi riempiva il cuore affrontare questi argomenti con alcuni fiorentini che io reputo dei maestri, persone iscritte all’Anpi, che hanno fatto la Resistenza e che mi dicevano di andare avanti a testa alta, lasciando perdere chi la voleva buttare solo in politica, anche nel mio partito.

Già, il partito…Schlein l’ha chiamata dopo l’assoluzione: non è che sta facendo pensando di dedicarsi ancora alla politica?

Guardi, ho ricostruito la mia vita, sto facendo l’advisor per varie aziende e seguo il gruppo riformista del Pd. Quello che sarà il futuro si vedrà ma non ho bramosia di incarichi. Provo a raccontare quel che è successo perché il mio partito faccia tesoro di quanto accaduto e perché si sconfigga la destra su un campo diverso dalla giustizia. Certo la politica è stata la mia vita, ma ora mi godo il presente.

Un’ultima domanda: se le faccio due nomi, Matteo Renzi ed Enrico Letta, cosa le viene in mente?

Uno preferisco non sentirlo nemmeno, e non è Matteo Renzi. Con il quale ci siamo divisi dal punto di vista politico perché non ho condiviso la scelta che ha fatto. Ma ci parliamo, siamo rimasti amici, non è mai mancato il rispetto e rifarei tutto quello che ho fatto. Su Letta…mi lasci tornare dai miei figli, che sono molto più importanti.