Senatore Verini, parlando con Repubblica Dario Franceschini ha detto che il Pd del «ma anche», quello di un partito autosufficiente, «è stato un bel sogno ma non più realistico». È d’accordo?

L’intervista di Franceschini a me non è piaciuta. Innanzitutto perché - dicendo che le elezioni si vincono solo mobilitando, fidelizzando “i tuoi elettori” - sembra ipotizzare una sorta di bipolarismo radicalizzato. In un momento come questo, di drammatici rischi nel mondo, in Europa e in Italia, davanti alla domanda di fiducia e speranza che mancano, il Pd deve provare a parlare al Paese, a milioni di astenuti. Non solo ai “suoi” elettori. Per questo riterrei pericoloso e letale archiviare l’ispirazione originaria del Pd.

Pensa che anche Schlein lo stia facendo?

Affatto, e anzi proprio perché la Segretaria ha ben ricostruito proposte e rapporti sociali su temi fondamentali ( lavoro, scuola e sanità pubblica, transizione ambientale) oggi si deve e si può parlare “anche” di impresa, di innovazione, di crescita. E di sicurezza, declinata non come fa la destra, ma con proposte di prevenzione e di contrasto tipiche della cultura progressista. Del resto, i candidati Pd alle Regionali ( da Ricci e Giani a De Caro) non si rivolgono, per vincere e convincere, solo a una parte della società, “ma anche” all’insieme delle persone e delle forze e dei mondi sociali. Proprio in questo tempo di radicalizzazioni c’è bisogno di sguardo e di visione aperti. Non identitari e a rischio di cultura minoritaria.

Pensa quindi che sia ancora possibile tornare a un Pd primo partito nel Paese, capace di trainare tutta la coalizione?

Non dico che se il Pd camminasse in questa direzione torneremmo al 33,4% di voti che prese nel 2008, ma certamente potremmo guardare ben oltre le attuali percentuali dei sondaggi ed essere quindi ben più attrattivi per stringere le indispensabili larghe alleanze con autentico e forte spirito unitario. Primo partito rispetto a Fd’I non so, ma l’ambizione, ripeto, secondo me dovrebbe essere quella di non delegare ad altri ( a stucchevoli e ricorrenti “centri”) il rapporto con mondi e forze sociali con i quali il Pd può e deve dialogare in prima persona.

Converrà tuttavia che il contesto di oggi non è quello del 2008...

Dal 2008 il mondo è cambiato. Le piattaforme programmatiche del Pd originario, la cui ispirazione è figlia dell'Ulivo, non sono certamente più attuali. Ma l’ispirazione sì. Lo è. Il pluralismo del Pd è un valore costitutivo. Non come compartimenti stagni correntizi, ma come filoni politici e culturali progressisti che si incontrano e fanno sintesi, proposte comuni. Proposte al Paese e alle forze della potenziale coalizione. Questo è il tempo della necessità di dialogo, ascolto, sintesi e proposte adeguate. I segretari pro- tempore ( nel Pd ne sono passati tanti) hanno il compito di garantire questa ispirazione, non quella di un “pluralismo” che a lungo andare rischierebbe di diventare una sorta di “diritto di tribuna”.

Dunque Franceschini sbaglia anche nell’analisi che lo porta a dire che «per vincere le elezioni non serve un candidato moderato»?

Il candidato non deve essere né moderato, nè radicale. Deve essere credibile. Come credibili devono essere la leadership collettiva, la coalizione perché fondate su programmi davvero condivisi, su sintesi vincolanti, sui temi centrali per il futuro del Paese ma anche sui temi drammatici della politica internazionale. Sui rischi che corrono le democrazie ( perché sotto attacco e per le proprie inadeguatezze). Per vincere bisogna convincere. E poi il giorno dopo bisogna governare. Le somme delle sigle debbono essere il punto di arrivo, paziente e dal basso.

Si parla anche delle ipotesi primarie tra leader, dopo il weekend con i fischi a Schlein dalla platea del Fatto e l’ovazione per Conte alla festa dell’Unità: che ne pensa?

Certamente può essere una strada. Ma a condizione che anche questa strada venga percorsa dopo una osmosi di programma e di visione. Sennò sarebbe una sorta di chiamata alle armi di iscritti ed elettori di ogni singolo partito. Sintesi vere e credibili da compiere “prima”, non “dopo” non sono, secondo me, degli optional, ma un dovere democratico. Quanto alle tifoserie delle feste di partito o di giornale, non mi pare siano fatti molto rilevanti. A Reggio Emilia a tifare Conte c'erano anche molti militanti 5 Stelle e al Circo Massimo a rivolgere qualche fischio alla segretaria del Pd sono state persone che non gradivano le parole dette dalla Schlein sull'Ucraina, persone peraltro riprese da Travaglio. Ma questi episodi confermano quanto ci sia bisogno, nel tempo attuale, di rispetto, ascolto, anche - forse soprattutto - per le idee diverse.

Franceschini ha bollato come «sciocchezze» le ipotesi sulle difficoltà di tenere unita una coalizione di governo così ampia. Lo crede anche lei o ci sarebbero dei rischi, come avvenuto dopo la vittoria del 2006?

Se la coalizione è coesa, se si fonda, su una vocazione davvero unitaria, su programmi condivisi e così percepiti dal Paese non vedo grandi rischi di non riuscire a governare. Vede, chi vota a sinistra, per il centrosinistra, vota per valori, idee progressiste, per cambiare il Paese. Il potere, del resto, deve essere un mezzo per questo, non un fine. Questa destra è divisa su questioni fondamentali, eppure è unita dal cemento del potere, delle spartizioni. Il nostro orizzonte è diverso. È il cambiamento del Paese, una nuova Europa. Ministri e Sottosegretari sono solo gli strumenti per questi obiettivi, non i fini.

La divergenza più ampia nel “campo largo” è quella sulla politica estera: sono questioni su cui è possibile trovare una quadra o ci sono differenze insormontabili?

Sono questioni centrali. E c’è un tema: l’Europa. La scena mondiale rischia di precipitare in mano a dittatori, autocrati. Quello che fa Trump negli USA è drammatico. Quello che ha fatto e fa Putin, che ammazza i suoi oppositori, e invade paesi e minaccia ogni giorno l’Europa, è un baratro. Gli atroci crimini umanitari di Gaza, compiuti da Netanyahu, che ha anche isolato il suo Paese, sono una ferita che sanguina ogni giorno. Così il terrorismo di Hamas, principale nemico della causa palestinese. L’antisemitismo dilaga ( da prima del pogrom del 7 ottobre e di Gaza) e oltre ad essere una barbarie, rischia di suscitare forme di islamofobia. I soggetti internazionali, come l’ONU, sono in crisi da anni. La terribile parata di potenza militar- nucleare di Pechino, con quella sfilata di autocrati e dittatori, ha segnato un minaccioso avvertimento. Su tutto questo manca un soggetto: l’Europa. Questa è la nostra frontiera: ricostruire una idea ed una Europa unita, forte. Un’Europa di pace e di difesa e sicurezza, di lavoro, di innovazione ambientale, di nuovo stato sociale, di democrazia. Questo è il cuore, per me, ma credo per il Pd, di qualsiasi alleanza credibile.