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Salvatore Vassallo, direttore dell'istituto Cattaneo
Salvatore Vassallo, direttore dell’istituto Carlo Cattaneo, analizza il voto in Abruzzo e spiega che «il risultato sardo e quello abruzzese dicono la stessa cosa». E cioè che «il centrodestra continua ad avere un elettorato stabile, sinora abbastanza persuaso della prestazione del governo» mentre «dall’altra parte, se è assolutamente necessario che le varie componenti che alle Politiche sono rimaste divise perdendo gran parte dei collegi uninominali si uniscano, al tempo stesso quando si mettono insieme perdono qualcosa».
Direttore Vassallo, è rimasto sorpreso dal voto in Abruzzo, anche alla luce di quello in Sardegna?
Prima delle elezioni, considerando la storia elettorale di Abruzzo e Sardegna, era aperto il quesito su quali tendenze si sarebbero registrate, sia come test sulla tenuta della coalizione di maggioranza sia sulle capacità di sommarsi delle varie componenti dell’opposizione. Ma francamente non ho mai considerato il risultato sardo come un segnale di particolare incoraggiamento se non sul piano del risultato finale e quindi con un effetti simbolico comunque importante per il centrosinistra. Come abbiamo documentato nelle nostre analisi, già il risultato sardo chiariva che rispetto alle liste il centrodestra era cresciuto e il centrosinistra si era invece contratto.
Eppure Todde è riuscita a strappare la vittoria, pur per poche centinaia di voti: cosa è mancato invece a D’Amico in Abruzzo?
La vittoria di Todde su Truzzu è frutto di una buona scelta della candidata e forse ancor più di una cattiva scelta del candidato dall’altra parte e di una serie di fattori che hanno portato a una vittoria di misura della candidata Pd- M5S. Ma scavando un po’ era già visibile come a livello di componenti dei singoli partiti la tendenza era esattamente contraria. Alle Politiche in Sardegna il centrodestra era attorno al 40 per cento e alle Regionali è andata vicino al 49. L’aggregato dei partiti di opposizione di conseguenza era attorno al 60 alle Politiche e invece si è ridotto. In Abruzzo si è replicata questa tendenza, con l’aggiunta del fatto che, anche per l’assenza del voto disgiunto, l’equilibrio si è spostato nettamente a favore del centrodestra.
Crede che al di là dei risultati sia ormai ineluttabile lo scontro in futuro tra centrodestra e campo largo?
Al netto del fortunato risultato della Todde le due elezioni dicono la stessa cosa, in fondo nemmeno così stupefacente. E cioè, rispetto alla vigilia, dicono che il centrodestra continua ad avere un elettorato stabile, sinora abbastanza persuaso della prestazione del governo, e quindi le forze politiche che lo compongono stanno consolidando la loro alleanza, pur con alcuni problemi. Dall’altra parte, mentre è assolutamente necessario che le varie componenti che alle Politiche sono rimaste divise perdendo gran parte dei collegi uninominali si uniscano, al tempo stesso quando si mettono insieme perdono qualcosa. Dovranno rifletterci molto.
Sembra che lo stia già facendo il Movimento 5 Stelle di Conte, mentre il Pd spingere consolidare il percorso comune…
Sia in Sardegna che in Abruzzo abbiamo visto che soprattutto i Cinque Stelle tendono a perdere verso l’astensione e che, al contrario di quello che dice Conte, non perdono solo quando sono alleati con Calenda o Renzi, anzi. Così come gli elettori del cosiddetto terzo polo, diciamo dell’area Renew Europe, tendono più che ad astenersi a votare verso il centrodestra, soprattutto quando la coalizione include i Cinque Stelle.
E qual è l’alternativa?
L’alternativa al campo largo esiste solo alle Europee, sia per il M5S sia per l’area di Renew Europe, al netto dei problemi “psicologici” dei singoli leader di quell’area. Alle Politiche, l’unica alternativa al campo largo è regalare una vittoria a mani basse in gran parte dei collegi uninominali al centrodestra.
In questo senso la convince l’idea di un federatore, come è stato D’Amico e che stanno cercando anche in Basilicata?
Quella del federatore esterno è sicuramente un’ottima carta nelle competizione locali e ha funzionato ancor meglio in Sardegna che in Abruzzo. La Todde ha vinto perché aveva un profilo diverso dalla classica candidata grillina, anzi, sembrava una buona candidata di centrosinistra. Questi profili possono attenuare le divisioni tra i partiti del campo largo ma è chiaro che il problema si porrà per le Politiche. Tuttavia questa è una strategia che il centrosinistra ha già praticato con Romano Prodi, che fu scelto perché svolgeva una funzione simile.
Crede che i voti “moderati” in Abruzzo siano andati a Forza Italia, e quindi a questo si debba il successo azzurro?
Il successo di Forza Italia è stato un po’ esagerato. Quando si aprì il dibattito del dopo Berlusconi, mi era chiarissimo che, al contrario i quello che molti dicevano, Fi non sarebbe affatto scomparsa. Perché ha un ruolo nel centrodestra definito non solo dall’eredità lasciata da Berlusconi ma perché ha una sua ragion d’essere, tanto più in presenza di un ruolo così rilevante di una leader che viene da Msi- An. Nel caso abruzzese ci sono due fattori che rendono esagerata la narrazione del grande successo: il primo è che Forza Italia in Abruzzo aveva preso l’ 11 per cento alle Politiche, quindi il salto in avanti è di due punti; il secondo è che la tradizione democristiana ha lasciato in eredità a Fi, moderati, Udc e altri una certa capacità di raccogliere voti.
Eredità che non coinvolge la Lega, che sta vivendo una crisi: si arriverà a una resa dei conti interna dopo le Europee?
Difficile da dire, la cosa certa è che esistono interessi e anche convinzioni strutturate per le quali mi sembra molto improbabile che la Lega possa superare la soglia di conflittualità oltre al quale si romperà lo schema del centrodestra. Così come data la sua persistente presenza in una quota dell’elettorato soprattutto del centro nord mi pare improbabile una riduzione dei consensi ditale da renderla del tutto marginale. È plausibile che con una leadership diversa potrebbe avere in questa fase un ruolo maggiore, visto che la strategia di Salvini è un po’ usurata, ma questo è un tema su cui solo i dirigenti della Lega possono effettivamente valutare e decidere.