Il ministro Orlando è rimasto stupito quando ha visto la reazione della platea al discorso di Andrea Mascherin. C’è stato un applauso grandissimo, alla fine della relazione, abbastanza inusuale per un consesso istituzionale, solenne, persino un po’ serioso, com’è la riunione degli avvocati (tutti in toga e tocco neri neri, coi fregi d’oro e la “pazienza” bianca, in una coreografia un po’ ottocentesca) che assistevano all’apertura dell’anno giudiziario. C’è una novità nella lotta politica: scendono in campo gli avvocati

Un clima più simile a quello delle riunioni politiche. Del resto anche la relazione di Mascherin non si è mantenuta dentro i “paletti” istituzionali e diplomatici che uno magari si aspetterebbe dai rappresentanti del ceto forense. Mascherin è stato brusco e per niente leguleio. Ha chiesto all’avvocatura italiana: hai voglia di rimboccarti le maniche e dare battaglia? Cioè di uscire dal guscio della corporazione e capire che per affermare il tema del diritto, e della necessità del diritto e della superiorità del diritto, c’è una sola via: quella di saltare gli steccati e assumere un ruolo e una responsabilità politica a tutto campo.

La novità è questa. Ieri l’avvocatura ha lasciato gli ormeggi e ha deciso di navigare in mare aperto, senza accettare subordinazioni né dipen- denze. Ha deciso di affermare la sua indipendenza e di disegnare la sua idea di società, rompendo gli schemi del marxismo classico e del liberismo classico, sfidando gli interessi di casta e di piccole patrie, e indicando la strada per la costruzione di una democrazia solidale, che si contrapponga sia al partito dell’odio sia al partito del mercato uber alles. Ed è una novità grande. Non facilissima da capire. Perché la politologia è abituata a considerare soggetti della politica solo i partiti classici oppure i poteri forti. Gli avvocati invece tentano una strada diversa: quella di mettere se stessi, e la propria professione, e il proprio ruolo sociale, al servizio di una battaglia civile che non sia riconducibile a una aggregazione di partito ma che non deleghi ai partiti nessuno dei grandi temi politici. Gli avvocati vogliono dire la loro sullo Stato di diritto e sui rapporti che devono esistere tra stato di diritto e società, e Stato sociale, e mercato, e ricchezza, e produzione, e relazioni civili.

Colpisce, naturalmente, la radicalità della svolta della quale il Consiglio nazionale forense si sta facendo protagonista. E non si possono nascondere le difficoltà che andranno affrontate. Colpisce soprattutto perché sembra quasi in contrapposizione con tutto quello che sta succedendo, in queste stesse ore, nella politica nazionale. In particolare con la vicenda del Pd. Se guardi al dibattito nel partito democratico riesci a trovare tutto tranne che sostanza politica. La discussione è completamente concentrata sul destino di Matteo Renzi. I renziani vogliono salvarlo, dopo la sconfitta del referendum. Gli antirenziani vogliono affondarlo, vogliono che se ne vada via. Qualcuno ha provato a rispondere alla domanda: perché deve restare? Oppure all’altra domanda: perché deve andare via? Per cancellare quali politiche, e per sostituirle con quali altre? Per proporre quale modello di società? Più mercato? Più Diritto? Più Stato sociale o invece meno? Più spesa sociale o invece meno? Più divieti o più libertà? Più opere pubbliche o meno? Più sviluppo o decrescita?

Il problema vero della politica, oggi, è esattamente questo. Prima ancora che la sua lontananza dalla gente, la sua lontananza dalle idee. Nessuno, nel Pd, vuole discutere su quali temi debba svolgersi il congresso. Tutti chiedono di discutere con quali regole, con quale sistema di voto, con quali garanzie per maggioranza e minoranza. E nel centrodestra? Lì nemmeno si prende in considerazione l’ipotesi di fare un congresso, il problema, sembra, è solo quello di definire la leadership. Nel movimento Cinque stelle addirittura la discussione è stata proibita. Con una circolare di Grillo. C’è un direttorio o qualcosa del genere che decide la linea e poi c’è una tastiera, casomai, per digitare un si o un no.

E’ questa la politica del 2000? E’ la totale separazione tra leadership e idee? Tra lotte e programmi? E’ la rassegnazione ad accoccolassi o dietro la disciplina imposta dal capo o dietro la rabbia e la rivolta e l’odio generici e privi di ragionamento?

La discesa in campo degli avvocati, con le loro idee e con la forza del loro ruolo sociale, davvero può essere una novità. Può servire a ricongiungere i cittadini allo Stato. Può realizzare l’affermazione di un nuovo corpo intermedio – forte, sapiente, ambizioso – nell’epoca nella quale i sindacati, i vecchi partiti, le associazioni, gettano la spugna e si rinchiudono nel campo del potere o in quello della protesta retorica. Il problema è se l’avvocatura saprà accettare la sfida che le lancia il Cnf, e riuscirà a vincere vecchie paure e a mettersi in navigazione.