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Lo scorso giovedì, presso la sala Mattarella del Parlamento siciliano, abbiamo presentato il nostro libro “Quando prevenire è peggio che punire. Torti e tormenti dell’antimafia”. I primi due capitoli raccontano il dramma di tanti imprenditori innocenti colpiti da misure di prevenzione e interdittive antimafia. Il terzo capitolo raccoglie, invece, le testimonianze di alcuni sindaci di comuni sciolti per mafia.
UN LIBRO COSTRUITO CON LE TESTIMONIANZE DEGLI INNOCENTI ESPROPRIATI DI TUTTO
Grazie al supporto degli avvocati, dei magistrati e dei professori universitari di altissimo livello iscritti alla nostra associazione, avremmo potuto realizzare un vero e proprio manuale sulla legislazione emergenziale per spiegare ai lettori perché le misure di prevenzione – giurisdizionale e amministrativa – si pongono in contrasto con la Costituzione, con la Convenzione europea dei diritti umani, con i principi basilari della civiltà giuridica e, prima ancora, con la logica e il buon senso.
La nostra scelta è stata diversa. Il libro contiene i preziosi contributi dei nostri giuristi che hanno spiegato con parole semplici concetti giuridici particolarmente complessi. Ma, soprattutto, mette in una posizione di assoluta centralità il vissuto della Persona Umana, perché siamo convinti che non si possa disquisire sulla legittimità di un istituto giuridico senza considerare gli effetti che esso produce sulla carne viva della gente.
Che spiegazione giuridica accettabile possiamo offrire a chi, dopo il calvario di un processo penale che ha visto anche periodi di sofferta detenzione e che si è concluso con un’assoluzione definitiva, si vede portare via dallo Stato tutto ciò che ha costruito in un’intera vita di lavoro per il sospetto di un reato per il quale è stato definitivamente assolto? Come possiamo accettare che un imprenditore incensurato debba essere interdetto e perdere tutte le commesse perché “è più probabile che non” che la sua impresa venga infiltrata dalla mafia? E come si può giuridicamente accettare che un Comune venga sciolto semplicemente perché ci sono disfunzioni amministrative e in quel territorio c’è qualche cosca mafiosa, senza che alcun componente della giunta sia stato mai stato solo indagato per fatti di mafia?
I protagonisti del nostro libro si muovono in un contesto del tutto autoreferenziale e avulso dalla realtà in cui la giurisprudenza e parte della dottrina ( per fortuna minoritaria) giustificano l’abbassamento ( o, per meglio dire, il totale annullamento) delle garanzie individuali sostenendo che le misure di prevenzione, tutto sommato, non sono sanzioni penali. A coloro che sostengono questa posizione costruita semplicemente sull’ipocrisia offriamo l’inedito punto di vista di chi si è visto distruggere la vita, per dimostrare che si tratta di qualcosa di più afflittivo delle pene. Sono misure che, quando non si basano sulla colpevolezza penale, diventano dei veri e propri strumenti di persecuzione. Noi rifiutiamo l’idea che un’antimafia efficace debba essere necessariamente un’antimafia che non si possa permettere il lusso delle garanzie liberali. Riteniamo pure che non si possa contrapporre la lotta alla mafia allo Stato di Diritto e che i cittadini non debbano trovarsi di fronte alla scelta – talvolta prospettata erroneamente come antitetica – tra due valori fondamentali in una democrazia.
A nostro avviso, uno Stato che consente alla mafia di proliferare non è uno Stato di Diritto. Viceversa, una lotta alla mafia che non rispetta lo Stato di Diritto non è vera lotta alla mafia ma distruzione di innocenti, economie e territori.
POLTICA D’ACCORDO SU NORME CHE TUTELINO GLI IMPRENDITORI COLPITI INGIUSTAMENTE
In occasione della presentazione del libro, abbiamo fatto il punto della situazione sulle proposte di legge di riforma del sistema delle misure di prevenzione depositate in Parlamento. Stiamo vivendo un momento storico particolare, qualcosa senza precedenti nell’ormai trentennale storia della legislazione antimafia.
Erano presenti i rappresentanti – regionali e nazionali – di quasi tutti i partiti politici. Da Fratelli d’Italia a Forza Italia, passando per Partito democratico, Italia Viva e Movimento 5 Stelle. Il parterre è stato arricchito dalla presenza del presidente della commissione regionale Antimafia Claudio Fava, e dal presidente del Parlamento regionale siciliano Gianfranco Micciché.
La presentazione di questi disegni di legge rappresenta una tappa importante nel percorso che abbiamo intrapreso nel 2018 con il Partito radicale. Un percorso molto difficile, iniziato con una proposta di legge d’iniziativa popolare di riforma del sistema delle misure di prevenzione. In quell’occasione, purtroppo, non siamo riusciti a raggiungere il quorum ma non ci siamo fermati. Piano piano, con la forza del vissuto delle persone che costituiscono la base di Nessuno tocchi Caino, con gli argomenti del buon diritto, e grazie ai contributi pubblicati da Il Dubbio e da Il Riformista, abbiamo raggiunto il cuore della politica.
Oggi quella proposta di legge d’iniziativa popolare è arrivata finalmente in Parlamento ed è sostenuta da partiti politici che, pur avendo una visione diametralmente opposta del mondo, hanno capito che la lotta alla mafia non può diventare un’occasione per distruggere innocenti, fare carriere, distribuire incarichi e liquidare compensi.
In linea di massima, è emersa un’ampia convergenza su due principi di fondo. Il primo riguarda i rapporti tra il processo di prevenzione e l’eventuale processo penale: se una persona viene assolta, deve avere il diritto ad ottenere la restituzione del patrimonio. Il secondo riguarda il risarcimento dei danni: se un imprenditore, all’esito del processo di prevenzione, si vede restituire l’azienda piena di debiti, in liquidazione o, peggio, fallita, deve essere risarcito.
Sembrano principi basilari che, in un Paese evoluto come l’Italia, dovrebbero essere scontati. Purtroppo, non è così.
L’obiettivo adesso è quello di portare al centro del dibattito parlamentare il tema delle misure di prevenzione. L’idea di revisionare questa normativa non può essere bollata come un tentativo di indebolire l’efficacia della lotta alla mafia, specie quando la nostra intenzione è semplicemente quella di riportare il sistema in vigore all’impianto originario della Rognoni- La Torre, troppo spesso impropriamente strumentalizzata e distorta per aggredire non i patrimoni dei mafiosi – che vanno quelli sì confiscati – ma per impadronirsi di quelli degli innocenti, costruiti con i sacrifici e il sudore della fronte.
Nessuno tocchi Caino, in vista dell’apertura dei lavori parlamentari, mette a disposizione la competenza e la professionalità dei propri iscritti per ulteriori approfondimenti sugli effetti e sui presupposti delle misure di prevenzione. Siamo convinti che il Legislatore debba legiferare su una materia tanto complessa non ascoltando esclusivamente – come, purtroppo, avvenuto in passato – magistrati o trasferendo nelle leggi della Repubblica i principi elaborati dai giudici nelle sentenze. È tempo che si apra un confronto serio in cui nessuno abbia il diritto di dire l’ultima parola. Un confronto nel quale, dopo avere ascoltato i magistrati, venga tenuto in considerazione anche chi può arricchire il dibattito offrendo un punto di vista alternativo e non per questo meno meritevole di attenzione.
Noi ci siamo, ci siamo stati e ci saremo ancora per tenere accesa la speranza di quanti, dopo vessazioni e umiliazioni, si aspettano un segno di riconciliazione nella giustizia da parte delle Istituzioni.
* Imprenditore, componente direttivo Nessuno tocchi Caino