Il politologo Marco Tarchi spiega che «non è facile capire sino a che punto la disparità di vedute sull’identità e sulla strategia della Lega tra Salvini e Giorgetti, che ha avuto un peso enorme sulla catastrofica rottura dell’accordo con il M5S di quattro anni fa, si rifletta anche sui rispettivi ruoli in seno al governo».

Professor Tarchi, Meloni sta continuamente mediando tra i desiderata di Lega e Forza Italia in vista della stesura della manovra: riuscirà la premier a trovare la quadra tra alleati senza “spargimenti di sangue”?

Penso di sì, e per una solida ragione: nessuna delle tre componenti della maggioranza ha interesse a far saltare il governo, per l’evidente mancanza di alternative. La politica ha le sue regole ferree, prima delle quali il calcolo del rapporto costi/ benefici prima di assumere una decisione, e le infrazioni alla norma, come il suicidio di Salvini con il proclama del Papeete del 2019, sono rare. Oggi la Lega sembra avere imparato la lezione e si limita a rendere pubbliche le sue preferenze per compiacere il proprio elettorato potenziale, rivendicando però piena sintonia e lealtà con gli alleati. Forza Italia è meno affidabile, per le divergenti anime interne e per la scomparsa del suo punto di riferimento, ma anche i suoi esponenti più insofferenti alla leadership di Meloni non hanno vie di uscita redditizie: la sorte di Carfagna e Gelmini, costrette a ruoli di secondo piano, è un esempio che fa riflettere.

Dopo le dichiarazioni del compagno Andrea Giambruno sullo stupro di Milano Meloni è stata a Caivano, teatro anch’esso di violenze. Tuttavia non ha risposto alle domande dei giornalisti e di recente ha optato per un cmabio ai vertici della comunicazione di palazzo Chigi. Pensa che la premier abbia un problema a livello comunicativo?

Da sempre, Meloni tiene a dettare da sola i contenuti e le forme espressive della comunicazione suae del suo partito. Si avvale di collaboratori ma cerca di tenerli per quanto possibile nell’ombra, e non sopporterebbe portavoce che non seguissero per filo e per segno le sue direttive. Ignoro se con Sechi, che ha una personalità spiccata, siano insorti problemi di questo tipo, ma in ogni caso la presidente del Consiglio punta tutte le sue carte sul rapporto diretto con gli elettori, via social o con iniziative pubbliche – vedi le sue trasferte in tutti i luoghi dove accadono fatti di cronaca eclatanti – che rilancino la sua centralità mediatica anche sui giornali e in tv. È la ben nota tecnica del going public, della disintermediazione. Quanto alle dichiarazioni del suo compagno, possono di fatto creare imbarazzi in questa epoca di personalizzazione politica, ma rientrano in una sfera privata.

A proposito di manovra, visti anche gli ultimi dati piuttosto negativi sulla prima metà di quest’anno, sembra sia in costruzione un asse Meloni- Giorgetti, soprattutto in chiave anti- Salvini. Condivide? Potrebbe venirne il sospetto, ma si può anche ipotizzare che si tratti invece, sul versante leghista, di una divisione preventivata dei ruoli e dei compiti, con Giorgetti ad incarnare la faccia moderata che piace al suo elettorato originario nordista di piccoli e medi imprenditori e partite Iva e Salvini a cercare di riannodare i fili del rapporto con i settori della società più sensibili al discorso populista, che lo avevano portato allo straordinario 34 per cento delle Europee del 2019. Non è facile capire sino a che punto la disparità di vedute sull’identità e sulla strategia della Lega tra Salvini e Giorgetti, che ha avuto un peso enorme sulla catastrofica rottura dell’accordo con il M5S di quattro anni fa, si rifletta anche sui rispettivi ruoli in seno al governo.

Manca meno di un anno alle Europee e quelle saranno le uniche elezioni con il proporzionale della legislatura in corso. Di conseguenza ogni partito, maggioranza e opposizione, tirerà acqua al proprio mulino, basta vedere la mossa di Renzi di ieri: crede che questo creerà problemi alla coalizione di maggioranza e al cosiddetto campo largo?

Non più di tanto, perché le fibrillazioni preelettorali sono da sempre messe in conto da tutte le coalizioni ( in questa fase, ne esiste una sola, perché il “campo largo” rimane allo stato di speranza). C’è senz’altro da attendersi che nei prossimi mesi ogni partito cerchi di rendersi più riconoscibile agli occhi dell’elettorato agitando le tematiche che ritiene possano fruttargli maggiori consensi, accendendo magari qualche polemica “intestina”, ma, salvo eventi straordinari e imprevedibili, tutto dovrebbe riassorbirsi in breve tempo e spegnersi all’indomani del risultato elettorale. Quanto alle opposizioni, l’annuncio della volontà di Renzi di presentare una lista con la sigla “Il Centro” rende sempre più improbabile la sua inclusione in qualunque strategia unitaria, anche se potrebbe, per reazione e necessità di posizionamento, spingere Calenda a un più deciso riavvicinamento al Pd (ma non al M5s).

Si discute molto dei temi del lavoro, dopo la strage di Brandizzo e i dibattiti sul salario minimo, rimandati all’autunno. Crede che sui temi sociali possano esserci convergenze tra maggioranza e opposizione?

Limitatamente, perché l’intento dell’esecutivo è palesemente quello di assicurarsi rapporti sempre più stretti con Confindustria da un lato e Cisl dall’altro, mentre all’opposizione, e in particolare al Pd, preme assicurarsi una sintonia molto maggiore che nel recente passato con la Cgil e la Uil. Su alcuni temi non conflittuali, come quello sollevato dall’incidente di Brandizzo, l’accordo ci potrà essere, ma su altri, incluso il salario minimo, ne dubito.

A Cernobbio Giorgetti ha parlato del superbonus come di qualcosa che «dà il mal di pancia» mentre Meloni come di una misura disastrosa. Pensa che il governo riuscirà a mettere a terra una manovra “prudente”, come ha detto Giorgetti, ma capace di soddisfare le richieste di tutte le componenti di maggioranza?

La critica al superbonus, oltre che al reddito di cittadinanze, da parte di FdI, Lega e Forza Italia non è cosa di oggi; è anzi uno dei temi su cui la concordanza di opinioni fra gli alleati è più sincera. Le ricette in vista della Finanziaria sono invece palesemente diverse e ciascuno cercherà, per motivi di immagine, di farle pesare quanto più possibile, ma alla fine sarà Meloni a tagliare il nodo e, come ho detto, ai dissenzienti non resterà che il mugugno ( e la soddisfazione uffiale).