Nell’era pre- Covid 19 il quadro politico era chiaro. C’era un governo con una base parlamentare numericamente buona, un amalgama politico non realizzato e, forse, non realizzabile e con un consenso tra i cittadini, sondaggi alla mano, non proprio entusiasmante. E c’era un’opposizione forte nel Paese, reduce da una lunga sequenza di successi elettorali a livello regionale e territoriale, con un leader riconosciuto come Matteo Salvini. Ma il passaggio di Covid- 19 nel nostro Paese non ci lascerà in eredità lo stesso mondo politico dell’epoca precedente e il segretario della Lega dovrebbe prepararsi alla nuova fase senza dare nulla per scontato. Alcune novità dipenderanno inevitabilmente dalle dinamiche internazionali, ma molto sarà legato anche a come partiti e leader si stanno muovendo in questi mesi. Fa certamente bene Salvini a marcare a uomo il premier Conte e le forze di governo, ma una parte importante delle sue attenzioni l’ex ministro dell’Interno dovrebbe dedicarle a quanto accade in casa sua. È da lì che possono venire le insidie maggiori e il pericolo ha il volto dei due governatori simbolo del centrodestra: Attilio Fontana e Luca Zaia. Per ragioni di storia e di cronaca. Lombardia e Veneto sono la culla del leghismo e, con buona pace del progetto nazionale e sovranista, il Carroccio dovrà sempre fare i conti con le proprie origini. Ma Lombardia e Veneto sono anche due delle zone d’Italia più colpite dall’epidemia e, al tempo stesso, rappresentano due diversi modelli di risposta all’emergenza. Reazioni che hanno prodotto risultati opposti e oggi Luca Zaia può immaginare la fase 2 del suo Veneto senza suscitare preoccupazione e una buona dose di paura nel resto d’Italia, mentre la Lombardia di Attilio Fontana non può fare lo stesso.

C’entra, ovviamente, la diversa dimensione dell’epidemia. Ma non solo. Semplificando al massimo: nella tragedia Covid- 19 quella del Veneto – al netto del clamoroso scivolone sui cinesi che mangiano topi - è la storia di una risposta di successo, quella della Lombardia di una lunga sequenza di errori e passi falsi. E la difesa accorata e appassionata che Salvini fa della sua Regione può diventare un clamoroso autogol anche perché dietro le mosse recenti del governatore Fontana si intravedono bene la spinta e il suggerimento politico del segretario della Lega. Spinte e suggerimenti che, al contrario, non superano il confine veneto dove Luca Zaia applica il suo “prima i Veneti” anche rispetto alle esigenze politiche dell’ex ministro dell’Interno. Salvini rischia così di pagare il disastro lombardo, senza incassare il risultato del lavoro veneto. E di ritrovarsi un contendente interno per la leadership del centrodestra. L’apprezzamento di Silvio Berlusconi per Zaia è noto e, soprattutto, il governatore ha le physique du rôle per attirare anche quel mondo moderato ancora restio a cedere alle sirene del salvinismo. Nella storia politica e nel lavoro amministrativo di Zaia si è, infatti, sedimentato, accanto al leghismo autonomista delle origini, anche buona parte della tradizione politico- culturale del Veneto bianco e democristiano, decisamente lontano dal populismo sovranista di Salvini. Il semisilenzio di Zaia sul Mes, cavallo di battaglia della Lega in Parlamento, malcela anche una lettura europea diversa tra il segretario e il governatore, attento agli umori del tessuto imprenditoriale veneto che, per usare un eufemismo, non vedrebbe bene un’ipotesi di Italexit. Non sono passate inosservate le parole che il segretario ha usato per rispondere a una domanda sulla suggestione del presidente veneto a Palazzo Chigi: “È uno dei migliori che abbiamo nella Lega. È una risorsa in futuro, per tutto il Paese”. Un elogio condito, però, di tanti paletti con quella parola – “risorsa” – che non è mai viatico di buone soluzioni nella politica italiana recente.

Rischia così di tornare alla luce, seppur in uno scenario completamente diverso, uno dei tornanti tipici della storica della Lega: il conflitto tra veneti e lombardi. In principio fu Umberto Bossi e la sua Lega Lombarda contro la Liga Veneta; un duello politico durissimo che consegnò la guida del mondo federalista al Senatur. Un confronto che, sottotraccia, è andato avanti negli anni con una costante: il predominio del fronte lombardo. L’ultimo veneto a provarci, Flavio Tosi, si è ritrovato fuori dal movimento. I meccanismi e la storia del partito dicono che Salvini non ha nulla da temere, ma, per la prima volta nella storia del Carroccio, la sfida non è per la guida della Lega. Il traguardo è più ambizioso e nella strada per Palazzo Chigi bisogna saper costruire alleanze, curare relazioni trasversali e mostrare una buona dose di realismo politico. Sono queste caratteristiche a fare di Luca Zaia il primo sfidante del suo segretario federale.