Il 18 maggio scorso Germania e Francia hanno prodotto un ambizioso documento che rilanciava una sovranità europea in tema di farmaci e ricerca e proponeva un Recovery Fund di 500 mld euro, finanziati sul bilancio europeo. Il giorno dopo quattro Stati, autodefinitisi frugali hanno immediatamente risposto proponendo una cifra di 540 mld di euro, ottenuta senza toccare il bilancio europeo, nella forma di prestiti subordinati a riforme fiscali e finanziarie dei paesi beneficiari e a forme di controllo. Tempi di crisi: è ora di cambiare il meccanismo decisionale della Ue

Il 18 maggio scorso Germania ( poco meno di 83 milioni di abitanti e 3.386 miliardi di euro di Pil nel 2018) e Francia ( quasi 65 milioni di abitanti e 2.350 miliardi di Pil) hanno prodotto un ambizioso documento che rilanciava una sovranità europea in tema di farmaci e ricerca e proponeva un Recovery Fund di 500 mld euro, finanziati sul bilancio europeo e destinati ai settori e alle Regioni che più hanno subito la crisi pandemica.

Il giorno dopo quattro Stati, autodefinitisi frugali ( Paesi Bassi: 17,181 milioni di abitanti e 773 mld euro di Pil; Svezia: 10,230 milioni di abitanti e 467 mld Pil; Austria: 8,822 milioni di abitanti e 386 mld Pil; Finlandia: 5, 5 milioni di abitanti e 233 mld di Pil) hanno immediatamente risposto proponendo una cifra di 540 mld di euro, ottenuta senza toccare il bilancio europeo, nella forma di prestiti subordinati a riforme fiscali e finanziarie dei paesi beneficiari e a forme di controllo.

Al di là di ogni valutazione sul merito ( certo, la richiesta di solidarietà interstatale non può avvenire al di fuori di ogni forma di controllo, per evitare che gli aiuti si trasformino in sovvenzioni a pioggia), perché 4 Stati, la cui somma sia in termini di popolazione che di Pil non arriva a quella della Francia ( per non dire della Germania), possono permettersi di opporre una loro proposta a quella proveniente dalla Germania e dalla Francia? C’è una ragione politica: come ha notato il ministro Amendola, si tratta di una mossa difensiva, per arrivare al tavolo del Consiglio europeo con una proposta da opporre a quella dell’asse franco- tedesco. Il quale subirà - in direzione opposta a quella dei quattro Stati frugali - la spinta di Italia, Spagna, Belgio, Irlanda, Grecia, ed altri Stati ancora, particolarmente colpiti dalla crisi del Coronavirus o che ne temono le conseguenze sistemiche. E, probabilmente, alla fine una soluzione si troverà. D’altra parte, di queste trattative tra il livello territoriale centrale e quelli substatali, ne siamo ben a conoscenza in Italia, in cui un Presidente del Consiglio privo di legittimazione diretta si trova a confrontarsi con potenti Presidenti delle Regioni, che traggono dai cittadini la loro legittimazione.

C’è però soprattutto una ragione istituzionale. Il sistema decisionale dell’Unione europea ha invero trovato una sua sistemazione con il Trattato di Lisbona, che ha consolidato il ruolo ( quasi) paritario del Parlamento nel processo legislativo, ha costruito un meccanismo simile a quello fiduciario dei sistemi parlamentari nel rapporto tra Parlamento e Commissione e ha costituzionalizzato il ruolo del Consiglio europeo, prevedendolo come organo in grado di fornire impulsi all’intera Unione, senza assumere funzioni legislative ( art. 15 TUE).

Ma il sistema si “impalla” nelle fasi di crisi. Il corretto rapporto tra impulsi, spettanti al Consiglio europeo; attuazione, spettante alla Commissione; eventuale traduzione in atti legislativi, spettante al Parlamento e al Consiglio, non riesce ad articolarsi in maniera ordinata. Così come è successo durante la crisi greca nel 2012, anche adesso il Consiglio europeo non vuole limitarsi a fornire semplici “impulsi”, bensì vuole approvare le concrete proposte di intervento: e siccome il Consiglio europeo, a meno che i Trattati dispongano diversamente, decide” per consenso”, cioè in assenza di opposizioni esplicite, la ricerca del compromesso può essere molto faticosa, dovendo cercare il punto di incontro fra le spinte diverse dei 27 Stati membri, anche a costo di continue riunioni straordinarie dell’organo. Così il sistema non regge e occorre modificare le procedure decisionali, specie nelle fasi di emergenza.

Delle due l’una. Se il Consiglio vuole mantenere un ruolo determinante, occorre che adotti sistemi di voto a maggioranza qualificata, con tutte le prudenze del voto ponderato, sul modello di quanto previsto all’art. 16. A puristi del metodo comunitario ciò può non piacere, ma costituirebbe una soluzione. Altrimenti, bisogna tornare alla “purezza” del Trattato: “impulsi” del Consiglio; iniziativa della Commissione ( che potrebbe anche agire autonomamente, ma sarebbe difficile aggirare il peso degli Stati membri); approvazione da parte dei due organi legislativi, Parlamento e Consiglio dell’Unione europea. Hic Rodhus, hic salta: usciti dalla crisi, bisognerà riprendere a discutere di questi temi nell’ambito della Convenzione sul futuro dell’Europa.