Secondo il politologo Marco Tarchi «malgrado la drammatizzazione delle ultime settimane nessuno aveva messo in dubbio la tenuta del centrodestra, né in Abruzzo né altrove», e se il risultato di Forza Italia in Abruzzo si può considerare «sorprendente» la resa dei conti nella Lega dopo il pessimo risultato del Carroccio «è ormai probabile».

Professor Tarchi, la vittoria di Marsilio in Abruzzo ha fatto tirare un sospiro di sollievo alla maggioranza dopo la Sardegna, e in particolare a Giorgia Meloni. Come commenta i risultati del voto?

Malgrado la drammatizzazione delle ultime settimane e il tentativo di una parte dei commentatori di fare eco alle speranze di un “cambiamento del vento” in senso favorevole ad un’alleanza dei progressisti, lo considero abbastanza prevedibile. Fino all’inopinato esito del voto sulla presidenza della Sardegna – che comunque, è tuttora opportuno ricordarlo, ha segnato il successo personale di Todde, non quello delle liste che la sostenevano, rimaste minoritarie praticamente nello stesso rapporto fra centrodestra e centrosinistra verificatosi questa domenica – nessuno aveva messo in dubbio la tenuta del centrodestra, né in Abruzzo né altrove.

Fratelli d’Italia ha trainato la coalizione, pur perdendo qualche punto rispetto alle Politiche del 2022.  Pensa che l’affetto degli elettori verso Giorgia Meloni continuerà anche dopo le Europee?

Anche se i sondaggi non lasciano ipotizzare le punte di consenso del 30- 31% di qualche mese fa, è difficile immaginare un calo di FdI al di sotto del risultato delle Politiche; è probabile semmai qualche punto – almeno un paio – in più, a meno di imprevisti. Quanto al caso abruzzese, occorre calcolare anche i voti raccolti dalla lista “personale” di Marsilio, quasi tutti attribuibili a simpatizzanti di Fratelli d’Italia. Malgrado i dubbi che alcune scelte del governo guidato da Meloni possono aver suscitato in un certo numero di suoi elettori, è la stessa formula dello scontro bipolare a mantenere salda la sua presa sui simpatizzanti del centrodestra. La distanza fra costoro e l’attuale Pd è troppo marcata per poter spingere ad un travaso di voti tra i due campi. Giorgia Meloni lo sa e per questo sottolinea ancora più spesso del solito il suo confronto/ scontro personale e diretto con Elly Schlein, personaggio perfetto per catalizzare l’ostilità di un pubblico non solo conservatore ma anche semplicemente moderato.

Un ottimo risultato è stato anche quello di Forza Italia, che dopo la morte di Berlusconi molti davano ormai per esaurita, e invece si sta dimostrando viva e vegeta: da dove arriva tale dimostrazione di forza?

Questo è un dato sorprendente anche per me, su cui non azzardo ipotesi fino a quando non saranno disponibili dati sui flussi di voto. Le nude cifre suggerirebbero l’esistenza di un consistente spostamento a suo vantaggio di elettori che nel 2019 avevano scelto la Lega, il cui leader era in quel momento in folgorante ascesa; ma per analizzare il fenomeno è necessario andare oltre le mere impressioni. Continuo tuttavia a credere che, in tempi non lunghi, Forza Italia sarà costretta a fare i conti con l’eterogeneità delle sue correnti interne e con il contrasto delle ambizioni del suo personale politico, che è molto più “carrierista” che “credente”, per dirla con le categorie coniate da Angelo Panebianco. E non so se Tajani abbia le caratteristiche adeguate per far fronte a quel tipo di problemi. Va notata anche l’ascesa, pur in dimensioni ridotte, della “concorrenza amica” di Noi moderati di Lupi, che segnala la presenza di elettori centristi ma più vicini a Meloni di quanto non lo siano alcuni ambienti di Forza Italia, che di fronte alla concentrazione di tutte le decisioni più importanti nelle mani della premier mordono il freno e spesso ci tengono a farlo sapere.

Chi non è andata bene è la Lega di Salvini, che dopo la scoppola sarda fa un risultato modesto anche in Abruzzo, superata di gran lunga da FI: crede che nel Carroccio si arriverà prima o poi alla resa dei conti?

È ormai probabile. Salvini continua a pagare salato il suicidio del Papeete del 2019, che lo ha fatto apparire non più credibile come leader, e i continui ondeggiamenti dell’era- Covid. Va detto però che, se i suoi avversari interni pensano di risalire la china rispolverando i connotati nordisti delle origini, elettoralmente andranno poco lontano.

Mentre Forza Italia cresce, i cosiddetti centristi di Azione e Iv navigano nella terra di nessuno e bisticciano un giorno sì e l’altro pure su cosa fare del loro futuro: pensa che questo avvantaggi la compagine di governo, a discapito del campo largo?

Non è insensato supporre che siano state proprio queste liti, sconcertanti per volgarità e trasudanti personalismi più che divergenze di vedute politiche, a suggerire a una parte del potenziale elettorato centrista abruzzese ( cioè di una regione per decenni governata da ras democristiani) lo spostamento – temporaneo? – verso Forza Italia. Ancor più bizzarro è che entrambi i contendenti caldeggino, almeno tatticamente, alleanze con i progressisti per poi attaccarne di continuo gli esponenti, sia di vertice che locali: Calenda prendendosela con i Cinque Stelle e Renzi con il Pd. Cosa possono pensare gli elettori non fortemente motivati di un’ipotetica coalizione lacerata da dispute di questo tipo?

A proposito di Pd e Cinque Stelle, dopo la vittoria sarda è arrivata una sconfitta che spegne l’entusiasmo, soprattutto in casa grillina: crede che i lavori del cantiere del campo largo in chiave anti- destra proseguiranno?

Suppongo di sì, anche se mi pare sempre più evidente quanto vado sostenendo da tempo, cioè che una parte significativa del residuo elettorato pentastellato ha ben poco a che vedere con una visione del mondo, della società e della politica di segno progressista. Le loro opinioni e i loro umori sono attratti da ciò che resta, malgrado le giravolte di Grillo, dell’originario progetto populista, e sui “temi etici” o sulle questioni legate all’immigrazione difficilmente si intenderanno con Schlein. Per questo Conte alterna aperture e chiusure sull’operazione “campo largo” e non perde occasione per sottolineare le divergenze tra M5S e Pd su questa o quella materia. Tuttavia, se elettoralmente continuerà a perseguire la tattica degli accordi anche quando non avvantaggerà un suo candidato, il movimento rischierà un ancor più serio ridimensionamento.