«Forza Nordio, su tutto». Sabato 15 luglio, Roma, hotel Parco dei Principi. Antonio Tajani, che è anche vicepremier e ministro degli Esteri del governo Meloni, è stato eletto all’unanimità, per acclamazione, segretario nazionale, fino al congresso prima delle Europee 2024, di Forza Italia. La cronista che lo conosce da quasi trent’anni, da quando era portavoce del premier Berlusconi nel suo primo governo Del 1994, gli rivolge qualche domanda per il Dubbio, fuori dalla calca di telecamere e taccuini, in una breve pausa di quel tripudio di selfie e abbracci di esponenti azzurri e delle delicate telefonate che gli continuano ad arrivare sul cellulare in qualità di capo della nostra Diplomazia. Tajani, che al termine del suo intervento si è anche commosso, cosa non usuale per lui, figlio di militari, poi militare lui stesso in aeronautica, non perde mai il filo. Esprime una forza tranquilla. Ora è anche scherzoso, da ex giornalista di Montanelli, con i colleghi: «Se volete, il pezzo ve lo scrivo io, ma con uno pseudonimo: Tajani eletto, ma il fuoco cova sotto la cenere». Noi ce lo ricordiamo ancora quando di sera telefonava ai quotidiani magari per sopire qualche “effervescenza”, che però non negava ci fosse in quel breve e travagliato governo, sotto assedio di parti della magistratura. Lui era il portavoce del premier, ma il molto più esuberante Giuliano Ferrara, ministro per i Rapporti con il Parlamento, era anche portavoce di tutto il resto della compagine governativa. E tirare le somme delle versioni, per il cronista, non era semplicissimo.

Segretario Tajani, da primo portavoce di Berlusconi a Palazzo Chigi, cofondatore di FI, allora come ora?

Assolutamente sì. Io sono uguale da quando sto nell’età della ragione, la penso sempre alla stessa maniera, non lo so se è una virtù. Ma io sono così.

Visti i suoi traguardi, sicuramente è una virtù. Ma noi ci riferivamo anche ai contrasti, che segnarono quell’esecutivo, tra settori della magistratura e politica. È come allora?

Dico soltanto che l’Italia ha bisogno di una profonda riforma della giustizia, che è nell’interesse della giustizia stessa, che è al di sopra della politica, dei politici, dei magistrati. Non è contro i magistrati. Anzi è importante per valorizzare i magistrati giudicanti. Ma anche quelli che sono parte della pubblica accusa saranno tutelati. Faranno parte di quel processo che dovrà vederli insieme agli avvocati, confrontarsi e avere un processo giusto. (Nel suo intervento Tajani ha ricordato che la separazione delle carriere è nel programma di governo; che il garantismo è principio fondamentale di FI, ndr).

Quindi, “Forza Nordio su tutto”, come è scritto nel documento programmatico, illustrato dal deputato Andrea Orsini, per far valere il primato liberale azzurro, il principio del garantismo, cosa che non significa essere “deboli con la criminalità”?

Assolutamente sì. Con la riforma della giustizia si può contrastare meglio la criminalità organizzata.

Lei ha parlato di riforma della giustizia anche per onorare gli obiettivi di Berlusconi. Il suo pensiero va pure a Bettino Craxi, che da presidente del Parlamento europeo ebbe il coraggio di omaggiare anni fa sulla tomba di Hammamet?

Bisogna sempre avere il coraggio delle proprie azioni. Io quello che penso dico e quello che dico di fare faccio.

Una curiosità: lei ha citato a proposito di garantismo un suo avo, Diego Tajani, magistrato, avvocato, ministro della Giustizia nell’ 800…

C’è tutto su Wikipedia (sorride il nuovo leader azzurro, reclamato ora dall’abbraccio dei suoi, ndr). Diego Tajani, nativo di Cutro, che ha dato per questo significativo antenato la cittadinanza onoraria al ministro degli Esteri e segretario di FI, fu ministro dei governi De Pretis. Da avvocato difese i superstiti della spedizione di Sapri, riuscendo a mitigare le loro pene. Perseguitato dalla polizia borbonica, dovette andare in esilio in Piemonte. Tajani ha ricordato per la prima volta di avere una figura così nel suo albero genealogico quando ha ammonito: «Dobbiamo andare avanti sul garantismo, che non significa essere deboli o conniventi con chi commette crimini, ma essere figli della nostra cultura giuridica: il diritto romano e Cesare Beccaria. In dubio pro reo…».