Professor Tarchi, come giudica i primi 100 giorni del governo Meloni e più in generale della coalizione di centrodestra uscita vincitrice dalle elezioni?

Dal loro punto di vista, soddisfacente, soprattutto per quel che riguarda la presidente del Consiglio, che è riuscita ad affermare il suo protagonismo e a rafforzare l’immagine decisionistica a cui tanto tiene. Sotto il profilo della visibilità, da brava conoscitrice delle logiche mediali, non solo quella dei social, la sua onnipresenza, sorretta dall’effetto- novità, ha rafforzato il rapporto con la pubblica opinione e le è valsa un ammorbidimento, se non addirittura qualcosa di più, delle critiche di parte giornalistica: basta vedere come è trattata dal più diffuso quotidiano nazionale. Ovviamente, su questo versante ha significato molto il suo esasperato atlantismo: chi si fa “coprire” da Nato e Usa sa di potersi guadagnare benevolenza in molti ambienti interni.

Ci sono alcuni temi, come l’immigrazione, la giustizia, il Mes, dove in maggioranza ci sono sfumature diverse tra le varie componenti: pensa che Meloni riuscirà a tenerle a bada come fatto o potrebbero scaturire tensioni in futuro?

Le tensioni certamente ci saranno. La loro intensità dipenderà dal gradimento di Meloni e del suo partito attestato dai sondaggi.

L’andamento favorevole ha finora consigliato agli alleati- concorrenti un atteggiamento cauto, ad eccezione di alcuni particolari momenti, ma se la tendenza si dovesse invertire potrebbero sorgere tentazioni di mettere qualche ulteriore bastone fra le ruote di Fratelli d’Italia per guadagnarsi visibilità e consenso. Anche l’imponente aiuto militare fornito all’Ucraina potrebbe costituire motivo di attrito. Qualche segnale c’è già stato.

Sulla giustizia ci sono degli scricchiolii, dovuti alle idee del ministro Carlo Nordio, che sono condivise da Meloni e da una parte dell’opposizione ma non del tutto da parte della maggioranza. Come se ne esce?

Con una politica di rinvii, ridiscussioni ed emendamenti che serva a stemperare i contenuti, e ancor di più i toni, della polemica che si è accesa dopo i recenti interventi di Nordio. Al governo lo scontro diretto con la componente maggioritaria della magistratura non conviene, e anche all’interno del partito di Meloni, che ha una lunga tradizione giustizialista, i malumori ci sono e vanno sedati.

La Lega sta puntando molto sull’Autonomia, anche in vista delle regionali in Lombardia, tema però che non appassiona Fdi, concentrato sul presidenzialismo: crede che queste due riforme vedranno la luce?

Anche in questo caso, qualcosa verrà fatto, perché un netto passo indietro sarebbe interpretato male da molti elettori, ma le ipotesi più radicali avanzate in un primo momento saranno, con ogni probabilità, rimaneggiate e ridimensionate. Anche perché dietro all’espressione presidenzialismo ci sono molte soluzioni possibili e non appare chiaro in quale direzione si voglia muovere l’esecutivo. Come è accaduto in passato con le varie commissioni bicamerali che si erano occupate della questione, la maggioranza rischierebbe di dividersi fra i partigiani del modello francese e quelli più propensi a un “governo del premier”, per non parlare di tutte le formule miste che potrebbero essere ipotizzate. Ancora una volta, alla fine varrà la regola del compromesso, comunque non facile da raggiungere.

Le prime tensioni con la società civile ci sono state con categorie spesso vicine al centrodestra, come i benzinai. Crede che Meloni potrebbe avere in futuro problemi con il suo stesso elettorato tali da perdere consensi come fu per Renzi, Salvini e i Cinque Stelle?

La prevedibile ed evidente volontà di Meloni di imprimere sulla propria leadership un’immagine di moderazione avrà senz’altro conseguenze, che potrebbero essere positive per un verso e negative per un altro. Questa sorta di “democristianizzazione” potrebbe infatti attirare le simpatie di un pubblico centrista e allargare l’area di consenso a una parte di coloro che alle scorse elezioni hanno votato per il Terzo Polo o si sono astenuti perché, pur non volendo sostenere la sinistra, diffidavano della provenienza politico- ideologica della premier in pectore. Nel contempo, però, potrebbe non piacere ad un certo numero di elettori conquistati il 25 settembre da Fratelli d’Italia perché attratti dagli argomenti e dai toni anti- establishment della Meloni unica oppositrice del governo Draghi, quella del celebre «la pacchia è finita». Penso ad esempio a chi alle Europee del 2019 aveva scelto la Lega grazie al suo discorso populista e poi ne è rimasto deluso, finendo per orientarsi su chi, ai suoi occhi, mostrava maggiore intransigenza verso certe pecche del sistema. Anche il Crosetto che si presta a cantare Bella Ciao o i ripetuti omaggi ad un antifascismo celebrativo, anacronistico tanto quanto lo sono le nostalgie di opposto segno, potrebbero allontanare da Fratelli d’Italia non pochi sostenitori, che in questi atteggiamenti vedono solo una concessione alle idee degli avversari.