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Ieri il quotidiano Libero si è schierato con passione a difesa dell’arma dei carabinieri, dopo le polemiche provocate dall’accusa di stupro rivolta contro due militari di Firenze. E ha posto una domanda dalla risposta ovvia: «Se nei carabinieri ci sono due pecore nere, vuol dire che tutti i carabinieri sono pecore nere?». Chiaro che no. E una seconda domanda, dall’altrettanto ovvia risposta: «Per dichiarare colpevoli quei due carabinieri, non occorrerebbe, prima, una sentenza?». Chiaro che sì.
Persino i giornali che son stati punta di lancia di svariate campagne giustizialiste capiscono che alcuni capisaldi del garantismo vanno rispettati, sennò è la fine. Il problema è però questo: se ne ricorderanno, tra qualche giorno, quando sul banco degli accusati siederanno gli immigrati? Lo stupro di Firenze e quel garantismo di “razza”
Ieri il quotidiano Libero si è schierato con passione a difesa dell’arma dei carabinieri, dopo le polemiche provocate dall’accusa di stupro rivolta contro due militari di Firenze. E ha posto una domanda dalla risposta ovvia: «Se nei carabinieri ci sono due pecore nere, vuol dire che tutti i carabinieri sono pecore nere?». Chiaro che no. E una seconda domanda, dall’altrettanto ovvia risposta: «Per dichiarare colpevoli quei due carabinieri, non occorrerebbe, prima, una sentenza?». Chiaro che sì.
Persino il quotidiano Il Fatto, forse per la prima volta nella sua storia ( a parte la vicenda- Marra) ha parlato non di colpevoli ma di “presunti colpevoli”.
Possiamo esultare. Dopo una estate nella quale si è fatto strame dei principi essenziali del diritto ( in particolare sulla questione migranti) si torna finalmente a ragionare. Persino i giornali che son stati punta di lancia di svariate campagne giustizialiste capiscono che alcuni capisaldi del garantismo vanno rispettati, sennò è la fine.
Il problema è semplicemente questo: se ne ricorderanno, tra qualche giorno, quando sul banco degli accusati non siederanno più due ragazzi in divisa ma due “balordi” qualunque, o forse due immigrati? E se ne ricorderanno anche quando il reato del quale vengono accusati gli imputati, o gli indiziati, non sarà più stupro ma, per esempio, immigrazione clandestina, o concussione, o abuso d’ufficio? ( Spesso, nel nostro giornalismo, il reato di abuso di ufficio è considerato molto più grave del reato di stupro...) Ecco, io temo che non se ne ricorderanno.
L’articolo che ha scritto sul Libero il mio amico Renato Farina ( al quale voglio bene soprattutto perché in passato è stato spesso linciato dalla stampa giustizialista) è inappuntabile. Un vero esempio di garantismo e io non dubito della sua assoluta buonafede. Osserva come sia indecente prendere spunto dal reato di due appartenenti a una categoria per crimina- lizzare la categoria ( in questo caso i carabinieri), osserva come prima di condannare qualcuno occorra un processo, osserva come i due ragazzi dell’Arma abbiano, come tutti, pieno diritto alla difesa. Sottoscrivo tutto, al 100 per cento. Sottoscrivo persino il suo sospetto – che mi è sembrato di intravedere - che ci sia qualcuno che vuole speculare, per motivi di potere, e indebolire i carabinieri o alcuni settori dei carabinieri.
Quel che non mi convince è la contraddizione tra questo articolo, impeccabile, e la campagna che il giornale sul quale Farina scrive ha condotto nei mesi scorsi contro, ad esempio, gli immigrati, identificandoli - sempre ad esempio – come la categoria alla quale appartenevano i quattro africani accusati di stupro a Rimini ( ripeto: “accusati- di- stupro- a- Rimini”). I titoli a tutta prima pagina erano molto chiari. Dicevano: gli immigrati ci portano stupri. E cioè esprimevano una bestialità. Così come è una bestialità quella di chi dice: i carabinieri ci portano stupri. Gli stupri sono opera semplicemente degli stupratori, che non sono negri, non sono sbirri, non sono disoccupati, né ingegneri, né padri di famiglia: sono stupratori e cioè colpevoli del reato peggiore di qualunque altro reato dopo l’omicidio.
Detto questo, anche stavolta abbiamo assistito a dichiarazioni politiche che fanno a pugni col diritto. Comprese qualche dichiarazione degli stessi carabinieri, smaniosi di mostrarsi inflessibili. Non è di retorica inflessibilità che abbiamo bisogno, ma solo di diritto, di legge e di giustizia. E non abbiamo nessun bisogno di sentenze né anticipate né esemplari. Non è la gravità di un reato, o di un presunto reato, a determinare la colpevolezza e dunque la durezza delle contromisure. I reati vengono puniti più o meno severamente a seconda della loro gravità ( e la loro gravità dovrebbe essere stabilita dai codici penali e non dalla pressione dell’opinione pubblica e dei giornali), ma i metodi di accertamento e le garanzie di difesa sono uguali per qualunque reato, anzi, nel caso di reati più gravi ( siccome sono più gravi le conseguenze in caso di colpevolezza) le garanzie devono essere più grandi.
Allora delle due l’una: o i giornali ( non solo Libero) che nei giorni scorsi hanno avuto atteggiamenti forcaioli nei confronti degli africani si rendono conto di avere sbagliato. E questo, francamente, farebbe fare un bel passo avanti al dibattito pubblico. Oppure dichiarano apertamente e onestamente di voler affermare una distinzione tra due modi di fare giustizia: una verso i cittadini italiani e l’altra verso gli africani. E di volerlo fare per una serie di ragioni che saranno anche fondatissime e che ora non ci interessa approfondire. Ci interessa che sia chiaro che in questo modo si afferma il seguente principio: esiste una giustizia di razza. Diversa a seconda della razza ( o presunta razza) alla quale appartiene il sospettato. Questo principio, dal punto di vista scientifico ( lasciamo stare le polemiche politiche o gli anatemi) si chiama “razzismo”. Possiamo anche decidere che il “razzismo”, come tante altre ideologie ( spesso sciaguratissime) sia legittimo, perché ogni opinione anche la più orrenda è legittima, purché si chiamino le cose con il loro nome. Senza alzare la voce. Senza pretendere sdegno o condanne e senza esprimere senso di superiorità.
Del resto la giustizia razzista è solo una delle tante varianti del “garantismo- giustizialista”. Scusate se uso questo ossimoro, ma non è un paradosso, è più o meno la normalità nella discussione politica. L’idea che solo i propri amici debbano essere garantiti. O solo i sospettati di alcuni reati. E tutti gli altri vadano presi e messi sulla graticola. Questo è il garantismo giustizialista che dilaga nella politica, nel giornalismo, nell’intellettualità.
Volete qualche esempio? Date un’occhiata alla polemica feroce che si è aperta, da parte di molti giornali e anche del sindacato giornalisti, contro l’ipotesi di un decreto che limiti la possibilità di mettere alla gogna liberamente tanta gente attraverso l’uso incontrollato delle intercettazioni e la loro pubblicazione. Perché questa ira? Davvero qualcuno teme che possa essere messa in discussione in Italia la libertà di stampa? No, tranquilli, nessuno lo crede. Molti però pensano che la stampa possa essere costretta ad essere garantista, non solo con i propri amici; e ritiene che in questo modo la stampa perda la metà del suo potere. Soprattutto – credo – perda il potere di interagire con pezzi di magistratura creando una potenza che sfugge a ogni legge, a ogni controllo, a ogni meccanismo democratico.
Cosa c’entra questa discussione con la polemica con Libero? C’entra. Finché non ci si convincerà che il garantismo è uno solo e che è essenziale alla democrazia, i giornali resteranno quello che in gran parte sono oggi: megafoni di faziosità, esibita e rivendicata.