Le sanzioni, di solito, sono uno strumento spuntato: provocano grandi sofferenze nella popolazione dei Paesi colpiti ma non scalfiscono il potere dei regimi presi di mira. Quasi sempre l'effetto è anzi opposto: la rabbia per le sofferenze patite rende la presa dei regimi più salda e ne aumenta il consenso. Stavolta, nel caso delle sanzioni contro la Russia, la situazione è diversa. Non è solo che stavolta le sanzioni non sono blande e figurative, come spesso è accaduto proprio nei confronti della Russia, ma che contro Putin si è messa in moto la notevole potenza del capitalismo globale e lo ha fatto, cosa probabilmente imprevista a Mosca, accettando la certezza di pagare un prezzo alto e persino il rischio di avviare una spirale catastrofica.

La dimensione fortemente integrata del capitalismo finanziario globalizzato permette misure punitive che vanno molto oltre il semplice blocco commerciale adoperato contro Cuba dagli Usa e contro Gaza da Israele in forme estreme ma anche contro la stessa Russia dopo le invasioni del 2014.

L'estromissione, sia pure limitata, delle banche russe dal sistema di pagamenti internazionali Swift è la più estrema di queste misure, non a caso quella che aveva suscitato più perplessità nei Paesi esposti come la Germania e l'Italia. Non è l'unico colpo però: l'offensiva economico- finanziaria non passa solo per le scelte degli Stati, degli organismi sovranazionali e delle banche centrali.

Aprire le agenzie di stampa, nelle ultime 48 ore, significa trovarsi di fronte a un bollettino di guerra che elenca una dopo l'altra le aziende occidentali che ritirano i loro capitali dalle società russe. Ad assediare lo zar non è solo la politica ma lo stesso capitalismo a ogni livello, produttivo e finanziario, che forse per la prima volta entra in campo come soggetto politico in prima persona. In Europa, cioè nell'area occidentale più potenzialmente colpita dall'ondata di ritorno delle sanzioni, c'è un risultato politico in attivo netto che accompagna quello giocoforza in passivo della crisi economica: un'accelerazione netta del processo di unificazione, che va già molto oltre i passi avanti fatti con la crisi Covid. Da molti punti di vista non tanto la crisi ucraina quanto la reazione dell'occidente all'invasione sta ridisegnando già ora tutte le mappe a ritmo accelerato.

Anche così, però, l'elemento critico delle sanzioni rimane: la stessa dimensione fortemente integrata del capitalismo finanziario e dell'economia globalizzata che permette di mettere in opera sanzioni davvero contundenti rende poi inevitabile un contraccolpo molto forte anche sui sanzionatori. Nei Paesi che dipendono dal gas russo come Italia e Germania l'impennata dei prezzi, già aumentati a dismisura prima della crisi ucraina, minaccia di strozzare la ripresa. In quelli più esposti nei confronti delle banche russe, di nuovo l'Italia e la Francia, il contraccolpo mette nei guai fino al collo il sistema finanziario.

A livello di finanza globale non è esclusa la possibilità, sottolineata dall'ex ministro dell'Economia Tremonti, di un "effetto Lehman-Bothers", cioè di una crisi complessiva come nella Grande Recessione del 2008. Si spiega probabilmente anche così, e forse soprattutto così, la scelta di forzare ulteriormente alla ricerca del colpo da KO: Le sanzioni, stavolta, non sono affatto leggere o posticce. Però perché gli effetti di dispieghino ci vuole tempo: al momento di varare il primo pacchetto si parlava di ' tempi medi'. Molti mesi nella migliore delle ipotesi, dunque un tempo sufficiente perché anche l'Europa debba pagare lo scotto delle misure comminate alla Russia. Una sconfitta totale di Putin, la sua destituzione, la nascita di un nuovo governo molto meno bellicoso nei confronti dell'occidente, sarebbero la quadratura del cerchio.

Questo era sin dall'inizio l'obiettivo delle sanzioni mirate ad personam, quelle che dovrebbero colpire uno per uno i membri della nomenklatura putiniana: la speranza che pensassero loro a mettere fuori gioco Putin. Ma è una carta incerta e nasce di qui la scelta di usare una sanzione che è tale solo di nome e che sconfina in realtà nell'atto di guerra; il congelamento delle riserve della banca centrale russa. Una mossa tanto estrema da aver pinto Putin a mettere esplicitamente in campo la minaccia nucleare. Anche se la crisi si ricomporrà nei colloqui in corso o se comunque il confronto non arriverà a scelte estrema quella minaccia, mai apertamente messa in campo neppure negli anni peggiori della guerra fredda, resterà. Questa crisi e le sanzioni conseguenti all'aggressione russa rimodelleranno il mondo. Tra gli aspetti inediti c'è anche l'ingresso della terza guerra mondiale nel novero delle opzioni possibili.