In principio fu l’infelice scelta dei nomi - Piano di rinascita e Stati generali - che hanno richiamato alla memoria momenti del passato, recente e lontano, decisamente inquietanti. A questo si è aggiunta la reazione dei compagni di viaggio, Pd e 5Stelle, quantomeno indispettiti dalla fuga in avanti del presidente del Consiglio accompagnata, poi, dalla perplessità di Confindustria e Cgil. A chiudere il cerchio, il rifiuto delle opposizioni a partecipare al confronto. In mezzo le perplessità e le ambiguità sulla presentazione del Piano Colao.

Insomma, la sarabanda di incontri, confronti e dialoghi che si apre domani a Villa Doria Pamphili non sembra iniziata sotto i migliori auspici. Inciampi, difficoltà e problemi nascono dal vizio d’origine di un appuntamento annunciato in solitaria dal premier e che, per tempi e modalità, sembra cozzare con le urgenze che il Paese deve affrontare in tempi rapidi. Resta, inoltre un dubbio: serve veramente questa carrellata di “menti brillanti” – copyright del capo del governo – quando attorno all’esecutivo sono state già attivate in questi mesi 15 task force con 450 componenti chiamate a elaborare soluzioni, proposte, progetti per gestire questa drammatica situazione?

Un interrogativo che non sfuma nemmeno davanti all’avvio dei lavori di domani con l’arrivo – annunciato in stile un po’ sanremese – degli ospiti internazionali. Ma a pesare sarà anche e soprattutto l’assenza delle opposizioni. Il no di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia depotenzia fin dall’avvio gli Stati generali e proietta un’ombra sui prossimi mesi per l’intero Paese.

Un rifiuto per certi versi inaspettato visto Berlusconi non aveva nascosto l’intenzione di mandare una delegazione azzurra e anche Salvini era parso possibilista a differenza di Giorgia Meloni che, fin dal principio, aveva declinato l’invito. Ma, allo stesso tempo, pare complicato stupirsi davanti alla posizione del centrodestra.

La Repubblica, la Costituzione e la consuetudine politica offrono luoghi e momenti per un confronto istituzionale tra governo e opposizione. In primo luogo, quel Parlamento, che nei tre mesi di emergenza non ha potuto incidere molto.

Certamente, come ha detto Conte, Villa Pamphili ha un profilo istituzionale, ma non è quello del naturale confronto fra partiti. Settimane fa, poi, il dialogo con le opposizioni era stato affidato al ministro D’Incà attraverso tavoli e confronti sulle misure da mettere in campo. Senza contare che, per esperti e parti sociali, esistono altri possibili luoghi di dialogo come le audizioni parlamentari. E, aggiungiamo, si poteva rispolverare il caro e vecchio Cnel, salvato dal referendum che bocciò la riforma costituzionale Boschi- Renzi nel 2016 e ancora forte della mission che la Carta gli ha assegnato: organo di consulenza delle Camere e del governo con facoltà di iniziativa legislativa e possibilità di contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale.

«L’invito era un gesto di attenzione», è stata la replica di Conte davanti al rifiuto delle opposizioni, una frase non proprio azzecca anche alla luce del richiamo della scorsa settimana arrivato dal Quirinale. Matterella ha chiesto unità e collaborazione, non mera attenzione.

Al solito, nelle parole del capo dello Stato c’era tutto il peso della gravità del momento, tutta la consapevolezza dell’eccezionalità dello sforzo necessario davanti a un Paese che, dopo la pandemia, dovrà affrontare una drammatica emergenza economica. Unità è il mantra che dal Quirinale ripetono in ogni occasione, consci del fatto che non si può ricostruire il Paese avendo contro una fetta consistente, sondaggi alla mano potremmo dire maggioritaria, dell’elettorale e quell’arco di forza politiche che amministra la gran parte delle Regioni italiane.

Ma unità è anche il termine meno adatto per fotografare i gesti, le dichiarazioni e le mosse dei protagonisti del confronto politico, inquilino di Palazzo Chigi compreso.

Emergono, al contrario, tante divisioni. Tattiche, valoriali e di visione. Le differenze sono, ovviamente, il cuore della democrazia e del confronto politico. Sono il sale che nutre la Repubblica, ma se vengono declinate sull’interesse di parte e non generale rischiano di diventare che il sale che brucia la terra dove dovrebbe germogliare il bene comune.