L’ Istituto Cattaneo, diretto dal professor Salvatore Vassallo, ha esaminato i flussi dei referendum di domenica e lunedì, ed emergono risultati interessanti.

Professor Vassallo, cosa si può dire in primis dopo il voto dello scorso weekend?

La prima cosa che abbiamo esaminato è il tasso di partecipazione, che è in linea con la partecipazione ai referendum dopo il ’ 99. Che è un anno chiave perché il quorum non fu raggiunto per pochissimo e per di più a causa della presenza nelle liste elettorali di molti italiani all’estero che di solito non votano. Quella fu l’occasione in cui divenne evidente che è troppo semplice seguire la strategia dell’astensionismo strategico per fermare il referendum e da allora tutti coloro che si oppongono ai quesiti semplicemente rimangono a casa.

Cioè quello che è accaduto domenica e lunedì.

Questa dinamica si è vista benissimo in questa circostanza. Cioè da un lato coloro che si oppongono ai quesiti possono facilmente farli fallire stando a casa; dall’altro i proponenti possono usare lo stesso strumento referendario come una grande manifestazione di massa per dimostrare di avere acquisito consensi, ma non saprei dire se realmente i leader del campo largo abbiano mai pensato di poter raggiungere il quorum. Quello che posso dire è che era quasi ovvio che non si sarebbe raggiunto. Ed è chiaro che da questo punto di vista il risultato è disastroso. Tuttavia, se lo giudichiamo come forma di grande mobilitazione di massa a sostegno anche di una casa persa, tutto sommato il risultato riflette l’equilibrio tra le forze politiche che già conoscevamo.

Cioè?

Partendo dal presupposto che il referendum è stato interpretato come una grande manifestazione di massa dell’elettorato del campo largo e questo viene documentato in maniera molto netta dai flussi, da cui si vede che l’elettorato di centrodestra non ha partecipato se non in minima parte mentre hanno partecipato gli elettori di Pd, M5S e Avs e in misura minora dell’area centrista, nel caso del primo quesito i sostenitori possono portare a proprio vantaggio un risultato perché hanno portato al Sì una quota di elettori di poco maggiore dei voti del campo largo a un’elezione di secondo ordine, come le Europee. Nel quesito sulla cittadinanza è accaduto però il contrario, perché per il Sì è stata persuasa una quota di elettore inferiore a quella del campo largo.

Qual è il risultato dell’analisi sul quinto quesito?

Dall’analisi emerge che la tendenza a votare No è significativamente più acuta nei comuni di piccole dimensioni mentre cresce il consenso sulla cittadinanza quanto più cresce la dimensione del Comune. Questo elemento si aggiunge alla tendenza già nota per cui il centrosinistra è diventato più forte nelle grandi città che nelle aree periferiche. Gli elettori del campo largo che risiedono nelle aree periferiche, insomma, sono meno persuasi dalla linea del campo largo su immigrazione o cittadinanza. Ma c’è un altro dato interessante.

Quale?

Dall’analisi dei flussi sulle grandi città risulta evidente che gli elettori di Avs e quei pochi elettori centristi che sono andati a votare hanno votato massicciamente per il Sì, quantomeno per il quesito sulla cittadinanza. La sorpresa è arrivata da M5S e Pd, perché tra gli elettori dei primi chiaramente prevale il No alla cittadinanza e tra i dem c’è una quota approssimativamente del 10- 15% se non di più che ha votato No. Numeri ancorati grandi nei comuni più piccoli.

Dunque su immigrazione e cittadinanza il centrosinistra dovrebbe rivedere le sue posizioni?

Su immigrazione e cittadinanza non possiamo dire quale sarebbe stato il risultato se il quesito avesse avuto ad oggetto altri profili, per esempio la concessione più rapida alla cittadinanza ai minori nati in Italia o ai neodiciottenni di seconda generazione, temi sui quali c’è più sensibilità. Il quesito riguardava la riduzione secca del tempo necessario a chiedere la cittadinanza e questo è escludente di per sé. Da quello che abbiamo esaminato penso si possa trarre solo la conclusione già confermata in varie occasioni, comprese il risultato di Genova erroneamente interpretato come un cambiamento delle tendenze dell’elettorato e quello delle elezioni del 2022 e delle Europee: gli equilibri non si sono mossi da quando il centrodestra ha vinto le elezioni e nel Pd questo dovrà far discutere. Alla fine hanno portato a votare quelli che era plausibile potessero portare a votare, né più né meno.

Dunque qual è stato l’errore di Schlein e del centrosinistra?

Se c’è un errore evidente, direi quasi oggettivo, è nella scelta di impegnarsi in un referendum che con elevatissima probabilità non poteva che andare a finire così, avendo voluto evocare la possibilità di un risultato che poi si è rivelato irraggiungibile. C’è stato un errore di strategia politica: di certo non si può dire che questi dati indichino che il campo largo oggi abbia il vento in poppa, come dice la segretaria Schlein quando si accredita anche il consenso di coloro che hanno votato No.