Il termine “sovranismo”, così come quello di “populismo”, non è stato scelto dai movimenti e partiti politici che sotto di esso sono catalogati. Al contrario, sono stati i loro avversari a coniarli o a riprenderli da un vecchio lessico per usarli nell’attualità. Ciò permette due considerazioni: la prima, che essi rispondevano ad una esigenza avvertita, perché l’uso di una parola si impone quando ce ne è bisogno perché le altre non sono ritenute sufficienti a individuare un determinato ambito semantico; la seconda, che questa esigenza era più di tipo morale o politico che non conoscitivo.

È indubbio infatti che i due termini sono stati coniati e poi usati più con l’intento di criticare, aborrire, prendere le distanze, dispregiare, che non con quello di descrivere per capire. L’uso performativo ha superato sin dall’inizio e di gran lunga quello descrittivo. Chi domina il linguaggio, teoricamente dovrebbe dominare le cose. Eppure, in questo caso, soprattutto per quel che concerne il termine “sovranismo”, i fatti non stanno proprio così. Si può infatti dire che, mentre raramente i populisti accettano di essere chiamati tali, i sovranisti hanno assunto ad un certo punto il termine per autodefinirsi, lo hanno volto in positivo.

Ma perché ciò è avvenuto o sta avvenendo? Cosa ha di più o di meno questo termine rispetto ad esempio a quello classico di “nazionalismo”? Andiamo per gradi. E cominciamo a chiederci cosa sia la sovranità. Per farlo è utile leggere le pagine che al tema ha dedicato Carlo Galli in un agile volume appena uscito per Il Mulino nella collana ” Parole controtempo”: Sovranità, Il Mulino, pagine 154, euro 12.

Galli è uno studioso serio e accreditato e da un anno, dopo un’esperienza parlamentare prima nel PD e poi in SEL, è tornato all’insegnamento di Storia delle dottrine politiche all’Università di Bologna. Proprio il pedigree accademico e la solida cultura fanno sì che Galli apra queste pagine quasi con un moto di stupore: quello che non può non cogliere lo studioso quando pone orecchio al dibattito pubblico attuale. Come è possibile, si chiede, che la sovranità sia derisa e disprezzata? “Nel nuovo Dizionario deiluoghi comuni, il ‘ politicamente corretto’ delle élite mainstream, sembra esserci - scrive- questo imperativo.

Chi fa un uso positivo di quello che era il cuore della dottrina dello Stato, luogo centrale del diritto pubblico... è ormai considerato un maleducato, un troglodita: è compatito con un sorriso di scherno... Sovranità è passatismo o tribalismo, nostalgia o razzismo: o goffaggine o crimine. E ‘ sovranismo’ è sinonimo di ‘ cattiveria’, di volontà malvagia”.

Ma cosa è propriamente la sovranità? Sovranità è il potere sommo e quindi assoluto ( cioè sciolto dalla subordinazione ad altri poteri che pure esistono), indipendente da ogni altro potere, originario, autonomo, legge a sé stesso. Essa, in età moderna, coincide con lo Stato. La sovranità va insieme, non può disgiungersi, dal suo contrario, la rivoluzione, che la sovverte e crea nuove sovranità quando le vecchie non sono più in grado di adempiere al proprio compito.

“Sovranità e conflitto vanno insieme: e infatti i nemici ( ad esempio, neoliberisti) della sovranità avversano parimenti anche il conflitto, e affermano che togliendo quella si elimina anche questo”. È questa la vera posta in gioco: chi vuole superare la sovranità statale sogna un mondo in qualche modo “conciliato”, senza più conflitto e senza più politica.

Bisogna cioè ammettere che anche il maggiore dei poteri è “abitato da uno squilibrio: forse controllabile, certo non del tutto cancellabile. E chi per rifiutarne il lato conturbante nega la sovranità per sostituirla con altre funzioni d’ordine – il “dolce commercio”, il diritto e i diritti, la fratellanza universale, la tecnologia globale, la governance privatistica – si vede piovere addosso, inaspettatamente, la violenza e l’eccezione, il disordine e la paura”.

Un discorso, a mio avviso, ineccepibile, a cui farei una semplice chiosa: gli avversari della sovranità, e quindi anche del conflitto, non sono solo i neoliberisti ma anche i fautori del “politicamente corretto”, cioè i liberal. Anzi, può dirsi che la classe dirigente globale che ha avuto in mano per buona parte le redini del mondo negli ultimi decenni, diciamo dalla caduta del muro di Berlino in poi, si è sviluppata dalla “convergenza parallela” della sinistra liberal e della destra neoliberista, entrambe nemiche della sovranità in nome, l’una, della neutralità del mercato e, l’altra, della corretta etica, casomai sanzionata per legge, dei comportamenti ( inutile dire che la sinistra realista e la destra conservatrice di un tempo erano altra cosa).

“Quindi - scrive Galli-, sovranità come volontà della nazione non è necessariamente nazionalismo: è autonomia di quella volontà, anche la più pacifica e dialogante; e la sovranità come creazione della distinzione fra interno ed esterno non è necessariamente xenofobia, ma è volontà di delimitare uno spazio su cui il soggetto politico abbia diretto potere e responsabilità”.

Dopo aver compiuto un percorso attraverso la storia della sovranità e un altro attraverso la ( storia della) filosofia, Galli si sofferma sull’oggi e in particolare sull’affacciarsi sulla scena politica dei partiti e dei movimenti cosiddetti “sovranisti”. “Benché sia un prodotto del razionalismo moderno, la sovranità - scrive Galli- è oggi messa sotto accusa da due delle principali declinazioni di questo”.

Si tratta, appunto, del razionalismo giuridico e di quello utilitaristico- economico. Ovviamente Galli, che è uomo di sinistra sinistra, ha forse una sorta di pregiudizio per il profitto in sé. Fatto sta che anche un liberale come chi scrive può facilmente sottoscrivere la critica ad un liberismo sovranazionale che impone le proprie regole alla politica.

Galli nella conclusione dice con parole molto chiare ciò che è in gioco: il futuro stesso della politica. Credere nella sovranità significa credere nel conflitto e nella politica. Quanto al sovranismo, di esso se ne può tentare una definizione, secondo me, abbastanza avalutativa: indica la richiesta di sovranità da parte di chi l’ha persa ( o crede diaverla persa o stare per perderla).

In ogni caso, non si può non concordare con la conclusione di Carlo Galli: il “sovranismo” va preso molto sul serio perché pone un problema, quello della politica, e quindi della partecipazione dei cittadini alla vita democratica, che non può essere eluso. Né, si può aggiungere, neutralizzato con prassi sovranazionali e omologanti. Che poi i “sovranisti” non riescano spesso a tradurre in qualcosa di serio e duraturo questo bisogno di politica e democrazia, che in quanto tale non è né di destra e né di sinistra, beh questo è un altro discorso.