Il professore Silvio Garattini, presidente dell'Istituto Mario Negri, ha due grandi preoccupazioni: vaccinare subito i Paesi a basso reddito per non rischiare che si crei una variante del Covid- 19 che renda il vaccino inattivo e approvvigionarci quanto prima di nuove dosi di vaccino altrimenti l'immunità di comunità non si raggiungerà.

Professore, si raggiungerà l'immunità di comunità entro l'autunno dell'anno prossimo?

Certamente ci sono due problemi: il primo è quello di avere i vaccini in quantità sufficiente. Abbiamo fatto degli accordi puntando però di più sul vaccino di AstraZeneca, la cui autorizzazione tarda ad arrivare da parte dell'Ema. Senza gli altri vaccini sarà quindi difficile raggiungere l'obiettivo entro la fine dell'estate 2021. L'altro problema riguarda la volontà degli italiani di farsi vaccinare. Su quest'ultimo punto sono relativamente fiducioso, pensando che nel frattempo saranno già molti milioni le persone che si saranno vaccinate sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti: ciò rappresenterà un elemento favorevole, di conforto per chi ancora non è vaccinato o ha dei dubbi.

Lei è stato tra i primi a vaccinarsi.

Io mi sono vaccinato domenica per spirito di servizio e anche perché noi che parliamo di vaccini dobbiamo cercare di dare l'esempio. Non ho avuto nessun problema, nessun effetto collaterale dal momento della somministrazione: ciò è importante che venga diffuso per incoraggiare le persone a vaccinarsi.

Tuttavia alcuni medici hanno espresso posizioni no- vax.

È preoccupante che ci sia una certa percentuale di medici e di operatori sanitari che dice di non volersi vaccinare.

Ma lei come se lo spiega?

Molti medici non sono un buon esempio dal punto di vista della salute: sono tanti quelli che fumano o che sono in sovrappeso. Sono uomini come tutti gli altri: magari hanno paura ma si tratta comunque di un atteggiamento contrario al fatto di aver intrapreso la carriera del medico e dell'operatore sanitario. Come medico devo pensare prima di tutto agli altri: se io mi infetto c'è il rischio che possa infettare le persone accanto a me, i miei pazienti. Prima che dalle leggi, sono obbligato alla vaccinazione per ragioni deontologiche. La mia libertà finisce dove comincia quella degli altri. Comunque resta il fatto che la maggioranza dei medici e degli operatori sanitari è favorevole alla vaccinazione: mi auguro che anche i colleghi reticenti capiscano che il loro contributo alla campagna di vaccinazione è molto importante.

Qualora non si raggiungesse nei tempi previsti l'immunità di comunità lei sarebbe favorevole all'obbligatorietà dei vaccini?

Sicuramente, l'obbligo della vaccinazione è insito nel fatto che stiamo vivendo una pandemia, siamo in condizioni eccezionali. Una persona può decidere autonomamente di tentare la sorte e rischiare di ammalarsi, poi c'è però il problema che se ti infetti contagi gli altri. E quindi in questo scenario l'obbligo è assolutamente giustificato. Certamente se deve essere attuato bisogna prima aspettare che ci siano le dosi perché, come dicevo prima, al momento non abbiamo una quantità di vaccino tale da poter ipotizzare l'obbligatorietà. Passerà del tempo prima che i vaccini vengano esauriti da parte dei volontari che aspettano con impazienza di poterne usufruire.

Che cosa pensa di questa polemica che è nata sul numero delle dosi richieste e ottenute dai singoli Stati europei?

Si sapeva già tutto questo. Già ad aprile, insieme alla presidente di Medici Senza Frontiere Italia Claudia Lodesani, avevo proposto un manifesto, poi sottoscritto da numerosi scienziati, in cui avevamo avvisato il governo che bisognava pensare per tempo all'approvvigionamento dei vaccini, impegnando importanti risorse economiche. Purtroppo invece l'Italia si è mossa tardi, mentre la Germania ha puntato, quando ancora l'Europa non si era mossa, ad avere delle risorse extra del vaccino Pfizer, sviluppato insieme alla tedesca Biontech. Dobbiamo stare attenti a che non si creino troppi nazionalismi e occorre che i Paesi a basso reddito vengano vaccinati.

Perché professore?

È anche nel nostro interesse: se noi lasciamo che il virus vada in giro per troppo tempo, in questi Paesi aumenta la probabilità che ci siano delle mutazioni significative che possono rendere il vaccino inattivo e quindi noi ci ritroveremmo con una nuova variante contro cui combattere con nuovi mezzi.

Secondo lei le misure adottate dal governo per il periodo natalizio saranno efficaci o sarebbero dovute essere anticipate?

Molti di noi avevano detto che le misure sarebbero dovute essere adottate prima. È stata una follia quella di aprire per consentire l'acquisto dei regali di Natale. Purtroppo abbiamo constatato, guardando in televisione quegli affollamenti incredibili, che quando si lasciano aperte le porte la gente scappa.

Si è tornato a parlare di sperimentazione animale in questo ultimo periodo fuori e dentro il Parlamento. Ancora il nostro Paese non riesce a comprenderne la necessità?

Anche per utilizzare un solo topo nei nostri laboratori di ricerca, dobbiamo riempire un questionario di circa cinquanta pagine. Poi dobbiamo passare attraverso il Comitato del benessere animale, l'Istituto Superiore di Sanità, e il Ministero della Salute. E dobbiamo pagare una tassa. Quando va bene, dopo quattro o sei mesi riceviamo una risposta. Questo meccanismo rende impossibile fare la ricerca in Italia, perché non possiamo collaborare con gli altri Paesi che invece possono partire rapidamente e divenire sempre più competitivi. Come è noto le alternative alla sperimentazione animale per la ricerca su xenotrapianti e sostanze di abuso non ci sono. Il nostro Parlamento continua a prorogare di anno in anno la proroga a tali sperimentazioni, mediante emendamenti al Milleproroghe: questo è inutile perché un anno è troppo poco per un progetto di ricerca. I nostri politici non riescono a capire che la ricerca sugli animali è indispensabile. Lo avrebbero dovuto aver visto anche in questo scenario pandemico: tutto quello che si sta facendo sui vaccini anti Covid- 19 lo si deve alla sperimentazione animale.