«Non si può realizzare nulla per risolvere il problema immediato del sovraffollamento». L’architetto Cesare Burdese non ha dubbi alla luce della sua decennale esperienza, avendo partecipato ai lavori della commissioni ministeriale, istituita dall’ex ministro della Giustizia Bonafede e conclusasi quando a via Arenula c’era Marta Cartabia, che si è occupata di architettura penitenziaria.

Architetto, quando si parla di sovraffollamento carcerario la prima risposta di molti è: costruiamo più carceri. È questa la soluzione?

La costruzioni di nuove carceri non risolverebbe immediatamente la questione, perché, se tutto andasse bene occorrerebbero almeno 15 anni per ultimare una struttura. Servirebbe un commissario. È l’unico modo per riuscire a costruire carceri in tempi brevi e in linea con gli standard di altri Paesi, come la Francia dove occorrono 2 anni. Bisognerebbe adottare procedure come quelle utilizzate per ricostruire il ponte di Genova.

Ai tempi per la costruzione vanno aggiunti gli investimenti.

Un carcere da 250 posti costa in partenza sui 30 milioni di euro, poi bisogna arredarlo, metterlo in funzione e avere il personale per gestirlo. Non basta solo costruirlo.

Per anni si è parlato del mega-carcere di Nola: sa che fine ha fatto?

Ho organizzato un dibattito pubblico all’Università RomaTre con il progettista, l’architetto Ettore Barletta capo dell’ufficio preposto del Dap, e il consulente Luca Zevi. A quell’incontro parteciparono con me il direttore della Fondazione Michelucci, uno dei responsabili di Antigone e il professor Ruggero Lenci della Sapienza, e facemmo delle considerazioni critiche di quella mega- struttura alla presenza dell’allora sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Ferri. Il risultato fu che la politica fermò l’operazione per le tante criticità emerse. Da allora non è più successo nulla.

Il ministro Nordio ha parlato della possibilità di utilizzare le caserme dismesse: cosa ne pensa?

Il primo fu Bonafede, che pensava si potesse riconvertire in un anno una caserma dismessa da decenni. Si tratta di strutture non solo abbandonate, ma in molti casi diroccate o da abbattere, come a San Vito al Tagliamento. L’argomento centrale della contrarietà, mia come di altri tecnici, che hanno la consapevolezza di che cosa è un carcere, deriva anche dal lavoro fatto nella commissione ministeriale che ha elaborato le linee guide per il carcere del futuro. Il ministro Bonafede acquisì tre caserme, ma furono restituite dalla Cartabia perché era impossibile utilizzarle.

C’è una soluzione architettonica a breve per alleggerire il carico dei penitenziari?

No. A fronte di una popolazione carceraria di 61mila detenuti, con circa 47mila posti a disposizione, servono 14mila nuovi posti. Ipotizzando carceri di 250 posti ci vorrebbero 56 nuovi istituti. Se uno costa 30 milioni di euro servirebbero 1 miliardo e 680 milioni e 56 commissari per realizzarli in due anni. In Italia abbiamo l’esempio di tre carceri, Nola, San Vito al Tagliamento e Bolzano, progettati da più di 20 anni e mai realizzati. Saranno a breve consegnati 8 nuovi padiglioni da 80 posti, nati con Bonafede, che risolveranno il problema di 640 detenuti, ma oggi parliamo di 14mila persone in più.

La sentenza della Corte costituzionale sul diritto all'affettività in carcere apre un altro capitolo su come ripensare le carceri dal punto di vista architettonico.

Solo tre, tra cui l’Italia, su 37 Paesi europei non consentono la sessualità in carcere. All’estero esistono due tipologie: o un appartamentino per stare con la famiglia per 72 ore, o una camera d’albergo per la coppia. C’è anche una tipologia tipo cottage. Renzo Piano ha fatto un progetto, realizzato dai detenuti di Rebibbia, per creare uno spazio per gli incontri familiari.

Ci sono modelli virtuosi in altri Paesi?

Esistono buone prassi e uno studio architettonico, fermo restando che parliamo comunque di carcere. Non è tutto virtuoso ovviamente. Ho visitato istituti in Austria dove mi hanno dato la brochure dell’opera architettonica e della collezione d’arte realizzata in collaborazione con la struttura. In Spagna le carceri di ultima generazione sono delle architetture vere, progettate per rispettare i bisogni degli individui e di tutta l’utenza. Purtroppo da noi chi si occupa di architettura non si occupa di carcere e poi manca una cultura progettuale da parte del ministero con il relativo mandato politico.