In questi giorni, attraverso l’analisi di avvocati, politici e accademici, abbiamo affrontato il problema segnalato dall’Unione Camere penali: il governo ha sì prorogato lo stato di emergenza sanitaria fino al 31 marzo 2022, tuttavia «consente ai magistrati di tenere le camere di consiglio da remoto fino al 31 dicembre 2022, senza far più riferimento al rischio di contagio». Ne parliamo oggi con il presidente della Corte di Appello di Roma, il dottor Giuseppe Meliadò.

Presidente, qual è il suo parere in merito all’allarme lanciato dall’Ucpi?

Non spetta a me esprimere giudizi di merito in ordine alle scelte operate dal governo. Quello che posso dirle è che dopo una prima accoglienza alquanto fredda da parte dell’avvocatura, l’appello cartolare in materia penale ha preso quota. Nel 2021 abbiamo avuto circa un 40% di appelli definiti in forma cartolare: questo sicuramente rappresenta un risultato importante. Tengo a precisare che l’appello cartolare si fonda sulla valutazione da parte del difensore in ordine alla possibilità di accedere a questa forma alternativa di definizione del giudizio di secondo grado, quando, ad esempio, le impugnazioni sono meno complesse.

Però da quel che sappiamo, a Roma la camera di consiglio da remoto non è mai partita grazie a un protocollo sottoscritto da Camera penale capitolina, Coa e Corte d’Appello.

Esatto, quell’importante protocollo continua ad operare e prevede che, nonostante la scelta della forma cartolare dell’appello, i giudici siano presenti in aula. A parer mio, ha costituito un buon viatico per far partire la riforma: al fine di favorire il processo cartolare abbiamo garantito la presenza dei magistrati in udienza. E il sistema ha funzionato.

A tal proposito il presidente della Camere penale di Roma, Vincenzo Comi, ci ha detto: "Quel protocollo, di cui siamo molto orgogliosi, ha poi generato la disapplicazione della norma a livello nazionale: la camera di consiglio da remoto rappresenta una scelta inutile e grave, dalle conseguenze dannose per il processo penale. Per un magistrato consapevole è una diminutio della efficienza del processo. Non è un problema di assolvere o condannare, ma di dare il peso giusto al processo". È d’accordo?

Se vogliamo garantire alcuni principi fondamentali e irrinunciabili del rito penale, oralità, contraddittorio, giusto processo, a parer mio, dato il numero delle pendenze e tanto più in alcune realtà come quelle di Roma, è necessario introdurre ragionevoli regole di differenziazione e semplificazione all’interno del sistema delle impugnazioni. Mi spiego meglio: vi è una quota di appelli che, sulla base della valutazione stessa del difensore, possono prescindere dal principio di oralità. Noi abbiamo 48mila fascicoli penali pendenti presso la Corte di Appello di Roma e ogni anno ne arrivano altri 12 mila circa. All’interno di questi ve ne sono alcuni che presentano rilevanti questioni di interpretazione delle norme e di valutazione dei fatti, che rendono utile il contatto diretto fra il difensore e il giudice, e altri che possono essere agevolmente risolti sulla base delle sole difese scritte.

Cosa pensa del fatto che l’eccezione stia diventando la regola?

Non voglio giustificare la norma inserita nel Milleproroghe, su cui il Parlamento dovrà poi esprimersi. Tuttavia ritengo che le norme processuali non possano vivere alla giornata, hanno bisogno di un orizzonte ampio per l’applicazione. Che ogni tre mesi si determini incertezza in ordine al rito applicabile è una circostanza che non ispira fiducia. Occorrerebbe garantire uno spazio applicativo di più lungo respiro. Se ciò presuppone una riforma generale è una valutazione che spetta al governo e al Parlamento.

Per il civile invece come vanno le cose?

Nel civile il processo cartolare ha dato ottimi risultati e ha consentito che, nonostante l’emergenza sanitaria, l’attività giudiziaria avesse una forte ripresa. I dati che illustrerò il prossimo 22 gennaio in sede di inaugurazione dell’anno giudiziario dimostrano che le definizioni presso la Corte di Appello di Roma sono aumentate del 18%, le pendenze sono diminuite del 5% e soprattutto che l’arretrato ultrabiennale, in un solo anno e pure in tempo di pandemia, è diminuito di ben il 18%.

Ne approfitto per farle un’ultima domanda. Alcuni suoi colleghi hanno espresso perplessità sull’Ufficio per il processo. Pur condividendo l’obiettivo sollevano due problemi: dove dislocare fisicamente tutte queste nuove risorse di personale e quale apporto possano effettivamente dare. Inoltre sentono il timore che gli obiettivi del Pnrr possano compromettere la qualità delle decisioni. Qual è il suo parere in merito?

A Roma abbiamo istituito l’Ufficio per il Processo sia nelle sezioni civili che in quelle penali ben prima che ce lo “imponesse” l’Europa. I risultati ci hanno confortato. Qual è la differenza oggi? Che sta per essere assunto un enorme numero di funzionari a tempo con la precipua funzione di dare assistenza al giudice. A Roma ne aspettiamo 184 a fronte di 215 dipendenti a tempo indeterminato presenti su 326 previsti in organico. Queste risorse, se ben organizzate, possono dare un qualche contributo rispetto agli obiettivi di riduzione dell’arretrato e dei tempi dei processi su cui siamo fortemente impegnati. Detto questo, ritengo che per certe specifiche realtà, come quella di Roma, l’arretrato di Roma e Napoli messo insieme è pari quasi al 20% di quello complessivo nazionale, i grandi numeri dell’Ufficio per il Processo non bastano. È necessario un nuovo e ulteriore aumento dell’organico della magistratura: non si tratta di grandi cifre, a noi basterebbero venti magistrati in più. Rispetto poi ai timori espressi in ordine ad una caduta della qualità dei provvedimenti dei giudici, dico che, a parer mio, si può lavorare di più e al tempo stesso meglio: i due aspetti non sono incompatibili. Certo, bisogna distinguere tra gli affari complessi e quelli semplici. Per i primi è necessario garantire ogni opportuno approfondimento, per i secondi si può procedere con motivazioni sintetiche e ripetitive. Le sentenze, del resto, non sono saggi giuridici, ma atti motivati di autorità. In sintesi non vedo una contraddizione tra qualità e quantità, ovviamente entro numeri ragionevoli. Noi abbiamo come obiettivo per il prossimo anno che i consiglieri penali scrivano 250 sentenze l’anno e quelli civili 160, a prescindere dal Pnrr e dalle nuove risorse.