Permettetemi un ricordo personale di tanti anni fa. Fine decennio 70. Facevo parte del servizio politico dell’Unità. E avevo un grande direttore, che aveva un’enorme influenza intellettuale su noi ragazzi non ancora trentenni. Le riunioni di redazione, la mattina, erano vere e proprie lezioni, talvolta di politica, talvolta di giornalismo. Il direttore si chiamava Alfredo Reichlin. Era un allievo di Togliatti e di Ingrao. Ripeteva molto spesso una frase, che era un po’ il riassunto della sua idea sulla struttura economica italiana e non solo italiana, e della sua critica al capitalismo. Diceva sempre così: “L’economia di carta si sta mangiando l’economia reale”. Scandiva bene quelle due parole: carta e reale. Era la denuncia dell’avanzata galoppante del capitalismo finanziario che travolgeva il fordismo. E l’allarme gettato sui disastri che avrebbe combinato. Mica aveva torto, direi. E vi sto parlando di anni precedenti ancora alla vittoria di Reagan. Reichlin continua oggi a dire quelle cose, solo che oggi, forse, è meno isolato.Trascrivo qui un brano di un suo vecchio editoriale (con la preghiera di leggerlo tutto, e poi di leggere la postilla):Sappiamo perfettamente che il mondo degli affari ha le sue regole, che la legge del mercato può essere spietata.Ma sempre di regole e di leggi si tratta. Tutt’altra cosa è il capitalismo cannibalesco, quello che non cerca il profitto investendo, definendo progetti industriali, concorrendo e rischiando sui mercati, in una parola creando benessere e opportunità di sviluppo. Al contrario, il capitalismo cannibalesco prospera grazie alla distruzione della ricchezza altrui, costruisce il proprio successo sull’altrui rovina. E’ come una metastasi che si nutre della parte sana del corpo».La postilla è questa: ho imbrogliato, il testo che ho trascritto non è tratto da un editoriale di Reichlin degli anni 70 ma da un articolo di ieri, firmato da Marina Berlusconi sul Corriere della Sera. Eppure, vi assicuro, assomiglia moltissimo a quegli articoli di Alfredo Reichlin di circa quarant’anni fa.Un po’ mi stupisco. Anche perché nei giorni scorsi abbiamo pubblicato sul Dubbio un articolo nel quale riferivamo di una lunga analisi del Financial Times che ci spiegava come e perché il neoliberismo ha procurato una montagna di danni alla moderna società occidentale. E proprio l’altro ieri abbiamo pubblicato una intervista all’ambasciatore Sergio Romano (che è un intellettuale con profonde radici liberali) il quale ci ha detto che le ragioni di gran parte dei disastri di oggi, in tutto il mondo, sono da cercare nelle politiche che Ronald Reagan e Margaret Thatcher introdussero all’inizio degli anni Ottanta in tutti i paesi dell’Occidente. Quelle politiche, ci ha detto Romano, hanno provocato un enorme allargamento del divario tra ricchi poveri, e quel divario ha innanzitutto destabilizzato le società e subito dopo delegittimato la politica e dunque resa molto difficile da governare la nostra modernitàEcco, ora che anche Marina Berlusconi, con una lettera pacata e saggia inviata al Corriere dopo il colpo di maglio di Bollorè che ha mandato all’aria l’alleanza con Mediaset violando tutti gli accordi precedenti, il mio pensiero torna a Reichlin, e alla sua preveggenza, e mi chiedo se ormai anche la destra non debba riflettere su quella che una volta la vecchia sinistra chiamava “la crisi del capitalismo”. Io ho sempre paura a porre il tema della crisi del capitalismo, perché quando lo faccio in genere mi si accusa di vetero-comunismo. Beh, stavolta sono più tranquillo, perché ho l’impressione che accusare Marina Berlusconi di vetero-comunismo sia un po’ complicato. E allora il problema è sul tavolo, e si può forse aprire una discussione che superi anche i vecchi schieramenti. Il capitalismo moderno, così come è stato modificato negli anni ottanta dalla svolta reaganiana (che ha fatto a pezzi il rooseveltismo e il patto sociale che governava in Europa) è al capolinea. Ha prodotto dei danni ciclopici (e forse in parte irreparabili) nel tessuto delle società occidentali, nella struttura della democrazia, e anche – di riflesso – nei rapporti tra mondo ricco e mondo povero. Possiamo decidere di archiviarlo e di vedere come sostituirlo? E possiamo forse fare questo senza mettere in discussione il pilastro del neoliberismo, e cioè la convinzione che il mercato sia l’unico regolatore dell’economia e – di conseguenza – della politica?Questo è il punto che Marina Berlusconi sfiora, ma forse non osa ancora affrontare. Il mercato non ha né il diritto, né la saggezza, né la capacità per essere il centro regolatore unico dell’economia, della produzione, e dunque, in definitiva, del potere e della vita sociale. Il mercato deve svolgere la sua funzione vitale, in una società moderna, ma deve accettare di sottomettersi a dei poteri diversi e a una organizzazione sociale autonoma e indipendente. Che ha fonti di sopravvivenza e di legittimazione che non provengono dallo stesso mercato.Quali sono i poteri diversi: semplicemente la democrazia. E la democrazia in questi anni del neoliberismo – che hanno coinciso con la caduta delle dittature comuniste e quindi con l’occasione di uno straordinario sviluppo democratico e liberale – ha subìto una vera e propria caduta, proprio perché è stata continuamente messa in discussione da poteri a lei esterni. Dal mercato e dal potere giudiziario.Probabilmente non esiste un’altra via per uscire dalla crisi che stiamo vivendo, e quindi per far compiere un balzo effettivo alla modernità, se non questa: accettare che la dittatura del mercato sia sostituita dalla dittatura dei “diritti” e dello stato di diritto. E cioè dalla non-dittatura. Solo una società costruita sui diritti può affermare il valore della non-dittatura. E solo in un regime di non-dittatura può riprendere la democrazia.Archiviamo Reagan. E magari anche Bolloré. Non dovrebbe essere un’opera impossibile se persino la famiglia Berlusconi è d’accordo.