Le “colpe” degli anziani erano già molte prima della emergenza virale. Se ne lamentavano il numero crescente per l’allungamento della vita e i conseguenti aumenti dei costi previdenziali e sanitari; il frequente e certamente discutibile uso a tempo sostanzialmente pieno nelle aziende dove avevano lavorato o altre, magari in nero, a scapito dei giovani; le pensioni maturate col sistema retributivo, più vantaggioso di quello contributivo, e perciò destinate ad appesantire i bilanci degli istituti erogatori, pubblici o privati, a scapito anche qui dei giovani, a rischio di trovare le casse vuote all’arrivo del loro turno, anche per via della riduzione dei contributi per effetto di un’occupazione sempre più ridotta.

Non parliamo poi degli anziani col torto ulteriore di avere fatto politica a vari livelli elettivi maturando vitalizi indigeribili per il loro stesso nome, spesso persino cumulabili fra loro per norme a suo tempo approvate tra l’indifferenza o la distrazione generale e poi tradottesi in diritti acquisiti, anch’essi impresentabili per il loro stesso nome.

I grillini hanno fatto delle campagne contro questi fenomeni, liquidati tutti come odiosi privilegi, le loro fortune elettorali. Ed hanno brindato in piazza quando sono riusciti, una volta al governo, a usare le forbici senza neppure ricorrere a leggi, ma a delibere di uffici parlamentari contro cui bastava ricorrere ad uffici di istanza superiore per procurarsi insulti anche nei più sofisticati o morigerati studi televisivi.

L’arrivo dell’emergenza da coronavirus ha caricato gli anziani di altre “colpe” ancora, a cominciare da quella di essere i più esposti al contagio e i più destinati alla morte, per cui il loro ricovero negli ospedali è apparso ad alcuni un altro danno per i meno anziani o i più giovani, potenziali destinatari di cure di maggiore successo. Non ancora in Italia, in verità, ma all’estero, ci sono moduli destinati ai più anziani per fare loro rinunciare preventivamente ai ricoveri e alle cure, una volta contagiati, e lasciar curare e sopravvivere i giovani, appunto. Qualche lacrima, comprensione e persino protesta di solidarietà gli anziani sono riusciti a guadagnarseli solo quando è capitato loro di morire nelle case di riposo per negligenze, vere o presunte, del personale o, peggio ancora, per la loro imprudente apertura, volontaria o imposta che sia stata, a malati provenienti da ospedali troppo affollati. Allora, poveretti, hanno fatto pena pure loro. E la loro morte ha allertato le Procure della Repubblica con la produzione delle solite cronache giudiziarie a doppia lettura: una per i tribunali, in vista dei processi quando e se vi si arriverà, e una per le piazze, dove i processi si svolgono col solito rito sommario a scapito del malcapitato di turno, specie se ammantato di qualche funzione o carica politica.

Siamo insomma a una mezza riedizione della poco esaltante stagione di “Mani pulite”, cominciata il 17 febbraio 1992 proprio nel Pio Albergo Trivulzio, noto ai milanesi come Baggina. In vista della cosiddetta fase 2, quando si allenteranno le misure restrittive della mobilità dei cittadini, se ne sono già ipotizzate di nuove e particolari a carico degli anziani. Ai quali magari sarà imposto di stamparsi gli anni sulla fronte come con un bollo per farsi riconoscere per la loro intrinseca debolezza e perciò pericolosità di contagio, passivo ed attivo.

Questa storia dei timbri sulla fronte fu anticipata o temuta negli anni Settanta sul Giornale di Indro Montanelli dal compianto Cesare Zappulli commentando l’abitudine che stava prendendo piede di estendere ai servizi, particolarmente a quelli sanitari e scolastici, la progressività applicata al trattamento fiscale dei redditi. «Ci toccherà stamparceli in fronte, i nostri redditi, prima di presentarci in ospedale, o in farmacia, o in una scuola per iscrivere i nostri figlioli», scrisse pressappoco Zappulli nella sua rubrica “Se fossi Averroè”, un filosofo medievale spagnolo di cui egli era devoto come al suo San Gennaro. Di un cui busto Cesarino aveva arredato la sua stanza nella redazione romana del Giornale, con una candela che soleva accendere ogni volta che vi captava da Milano il direttore occupando la scrivania davanti alla sua.

Massimo Fini, da buon anziano, ha scritto in questi giorni un articolo appellandosi all’articolo 3 della Costituzione sulla uguaglianza e pari dignità di tutti i cittadini “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Ma i costituenti si dimenticarono di aggiungere esplicitamente la condizione di anziano, considerando forse gli inconvenienti, per legge, della cosiddetta minore età, e non immaginando né il covid 19 né il Beppe Grillo capace di proporre come garante del partito più rappresentato in Parlamento la soppressione del diritto di voto sopra i 70 anni. Ah, che errore e orrore.