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Letta
Enrico Letta, che, sia pure indirettamente, si è procurato dello «stupido», da Luciana Castellina spintasi a definire così il Pd da lui guidato ormai da più di un anno, sta seminando di avvertimenti il percorso finale di questa legislatura sopravvissuta più o meno miracolosamente, partorendo ben tre maggioranze attorno alla vantata “centralità” conquistata nelle elezioni del 2018 dal Movimento 5 Stelle. Che ormai viaggia, tra elezioni amministrative, suppletive e sondaggi, attorno a poco più di un terzo dei voti di allora, ma continua a rivendicare un ruolo decisivo anche con Mario Draghi. Il cui arrivo a Palazzo da Chigi si deve a un capo dello Stato deciso invece a superare, se non azzerare, il risultato elettorale del 2018 per portare a termine la legislatura in un quadro politico fuori dagli schemi “tradizionali” o comuni. Lo stesso Movimento ancora “garantito” non di più - da Beppe Grillo è passato per tre presidenti, effettivi o provvisori, l’ultimo dei quali, Giuseppe Conte, si è dovuto far confermare dopo sette mesi dalla prima elezione digitale ottenendo meno voti e permanendo in una situazione giudiziariamente controversa. Ora per difendere non so se più la visibilità o l’area elettorale del quasi partito di cui ha voluto assumere la guida, scartando anche lui la tentazione di una scissione per metterne su uno del tutto nuovo e suo, Conte rincorre praticamente Matteo Salvini ma anche altri leader o componenti della maggioranza di governo sulla strada della distinzione, conflittualità, tensione, chiamatela come volete. Ed ha scelto come terreno, peraltro diretto, di scontro con Draghi, dietro la facciata della difesa di chi sta peggio in questa incipiente recessione economica, quello delicatissimo della politica estera in piena guerra scatenata da Putin con l’invasione dell’Ucraina. E con un grillino alla guida del ministero degli Esteri come Luigi Di Maio, quasi più draghiano ormai del presidente del Consiglio. Senza spingersi a contestare totalmente la linea atlantista e di sostegno anche armato all’Ucraina perseguita dal governo, Conte ha contestato l’aumento progressivo delle spese militari concordato in sede di alleanza atlantica per portarle in ogni singolo Stato al 2 per cento del Pil. Ed ha cantato vittoria, e sconfitta quindi di Draghi, per lo spostamento della data del traguardo finale dell’operazione al 2028, indicata volenterosamente dal ministro piddino della Difesa Lorenzo Guerini nella speranza, evidentemente, di un contenimento della crisi internazionale innescata dalla guerra “speciale” cominciata da Putin. E ora affidata, dopo vari siluramenti e perdite consistenti, ad un generale resosi tristemente famoso per i metodi feroci adoperati in Siria. Proprio a Conte, pur senza nominarlo, ma anche a Salvini per le sue mai attuate simpatie per Putin, diversamente dalla dissociazione finalmente esplicita di Silvio Berlusconi, e ad altre componenti del centrodestra sui temi fiscali e della giustizia, Enrico Letta si è riferito denunciando le tentazioni di elezioni anticipate in autunno che avverte in giro. Eppure si è già in campagna elettorale per le Amministrative di giugno, abbinate nel primo turno ai referendum sulla giustizia scampati al rischio di rinvio per elezioni anticipate già in questa primavera. Nel denunciare tuttavia le tentazioni di elezioni in autunno il segretario del Pd non ha minacciato nulla per evitare che esse arrivino a spegnere del tutto “la candela” del governo. Quasi pronto anche lui alla sfida, convinto evidentemente di avere da perdere meno degli altri, o addirittura di guadagnare di più, egli si è limitato a ricordare che le responsabilità della fine prematura di una legislatura già agli sgoccioli sarà solo colpa dei momentanei alleati o soci della maggioranza. Lo stesso Draghi, impegnato con tranquilla sicurezza a livello internazionale per ridurre la ormai troppo imbarazzante e gravosa dipendenza energetica dell’Italia dalla Russia di Putin, è apparso ad alcuni stanco, diciamo così, delle trappole e delle resistenze nella maggioranza all’azione del governo e all’attuazione del suo programma. Il Foglio, di solito bene informato degli umori dell’entourage di Draghi, ha accreditato le voci di un’accelerazione della preparazione della legge di bilancio per rendere l’autunno più agibile elettoralmente. Altri addirittura si sono spinti, come il solito Fatto dell’altrettanto solito Marco Travaglio, a immaginare o presentare Draghi in concorrenza con due dei suoi predecessori a Palazzo Chigi - lo stesso Letta e Paolo Gentiloni - alla segreteria generale della Nato. Conte, a quanto pare, è escluso da questa ipotetica gara, non potendo evidentemente contare più sull’amico Trump alla Casa Bianca, dove lo chiamavano al plurale «Giuseppi». Bei tempi, per lui, meno per gli altri ora alle prese con una guerra ormai al centro d’Europa.