Diciamolo. Quei cinque lì - i deputati che hanno chiesto il bonus destinato a soccorrere le partite Iva in difficoltànon sono i nipotini della “casta”. Sono i figli del populismo.

Tali sono per la loro appartenenza politica ( quattro di loro avevano allegramente votato la fiducia al Conte uno). E tali sono per essersi formati dentro un clima, una sorta di bolla gonfiata dagli argomenti triti e ritriti di una stagione civile che viene continuamente raccontata come una vendetta da consumare contro la politica intesa come professione.

Loro di certo professionisti non sono. Il loro dilettantismo balza all’occhio. Ma la loro piccola miseria morale è inscritta dentro la miseria più grande di un modo di raccontare le cose che alla fine, quasi inesorabilmente, porta lì. Verso le piccole meschinità, le furbizie di cortissimo respiro, il contrabbando degli equivoci. Perché se la politica è continuamente descritta come la sentina dei grandi vizi degli altri, alla fine diventa quasi fatale l’attrazione verso i propri vizi più piccoli.

I leader del populismo che vanno per la maggiore, e qualche leader di partito che tiene bordone al loro racconto, hanno dato fiato alle trombe della demagogia - e questo è il risultato. Guglielmo Giannini, leader storico del qualunquismo, suggeriva di affidare il Paese alle cure di un ragioniere. Appunto. Solo un ragioniere si sarebbe fatto tutti questi conti sulla propria Iva.