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L’Associazione nazionale magistrati è un organo sindacale che fa politica. Da sempre. Sarebbe assai ingenuo pensare che il potere giudiziario e la gestione della giurisdizione possano prescindere dal contesto politico in cui sono immersi. Tanto per parlar chiaro: i magistrati non sono semplici impiegati pubblici come sembra voler suggerire Salvini quando li invita a velocizzare i processi piuttosto che parlare dei quesiti referendari. Ed è del tutto normale che, attraverso le proprie forme associative, si occupino delle leggi o dei referendum che riguardano la giustizia. Dunque, decidiamoci una volta per tutte: o consideriamo l’Anm un organo illegittimo che mina l’equilibrio dei poteri - e allora chiediamone lo scioglimento come fece il regime fascita nel ‘25 -, oppure gli riconosciamo il diritto a una piena agibilità politica legittimandolo come attore nel dibattito sulla giustizia. Certo, rimane il problema della formidabile concentrazione di potere nelle mani dei giudici, ma non possiamo certo pensare di risolverlo togliendo loro il diritto di parola. La soluzione semmai è un'altra: dobbiamo aumentare il volume della loro “controparte”. E la controparte naturale della magistratura è l’avvocatura, la quale deve vedere ampliato il proprio “diritto di tribuna”, la propria centralità. La voce degli avvocati arriva in modo ancora troppo flebile sul tavolo della politica e delle istituzioni che soffrono da anni di una sorta di sudditanza psicologica nei confronti della magistratura. È lì, dunque, che si deve agire, perché nelle democrazie non si va per sottrazione ma per addizione. P.s. Gli amici referendari dovrebbero fare un monumento alla pubblicità gratuita arrivata dall’Anm. Il problema dei referendum passati era dato dal fatto che ne parlavano in pochi e non certo che ne parlavano in troppi...